Scuola

Scuola, la libertà d’insegnamento in tempo di pandemia

di Claudio Amicantonio*

È sotto gli occhi di tutti la confusione nella quale sta per avere inizio il nuovo anno scolastico. Alla abituale dose di problemi con cui un professore è costretto a convivere, è stata aggiunta la variante pandemica che porta con sé una miriade di lacci e laccioli, prodotti dal sempre creativo bizantinismo ministeriale, nel tentativo di rendere complicato persino entrare in orario nelle aule, a causa dei macchinosi controlli a cui l’intero personale scolastico sarà costretto a sottoporsi, nonostante oltre il 90% sia già vaccinato.

Tuttavia, pur dando per assunto che tutte le problematiche relative alla questione pandemica – controllo green pass, distanziamento, quarantene, Dad – vengano magicamente risolte, si profila all’orizzonte un problema di “sostanza” che darà la misura dello stato di salute della scuola italiana e, di conseguenza, della tenuta democratica del paese.

Quando finalmente sarò riuscito a entrare in aula e inizierò la lezione, sarà ancora realmente in vigore l’art. 33 della Costituzione per il quale “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”? Sarà ancora realmente in vigore l’art. 1 del D. Lgs. 297/94 sulla base del quale “ai docenti è garantita la libertà di insegnamento come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente”?

L’attuale e perdurante clima di contrapposizione tra vaccinati e non vaccinati, con punte non isolate di estremismi sfocianti in forme di odio e di violenza verbale e fisica, sarà inevitabilmente presente anche in quel microcosmo sociale che è la classe, in cui – oltre alla presenza fisica degli studenti – aleggia il sempre più pressante fenomeno del presenzialismo genitoriale, rendendo le domande sulla “libertà d’insegnamento” una vera e propria questione pratica e non un semplice esercizio di giurisprudenza costituzionale.

Durante la lezione su Socrate, per esempio, sarà possibile spiegare agli studenti che “dichiarare di non sapere significa che nessuna delle convinzioni umane a lui note si presenta come verità” e che, in questo senso, la critica di Socrate alla società e alle sue istituzioni è radicale, e che proprio per questo “la condanna di Socrate da parte della società ateniese è la naturale reazione e difesa di una società che si sente minacciata nel modo più pericoloso”, senza che tutto ciò possa essere interpretato come un invito a disobbedire alle leggi del nostro ordinamento giuridico?

Quando in una quinta liceo dovrò spiegare i motivi per cui, negli ultimi due secoli, la cultura occidentale ha mostrato l’impossibilità dell’esistenza di una verità assoluta e dunque l’inesistenza di una morale assoluta e di un dovere assoluto e valido per tutti – da cui peraltro deriva il concetto di laicità dello Stato – non rischierò di essere frainteso e di conseguenza accusato come un pericoloso sostenitore delle critiche alla campagna vaccinale in atto, che ha avuto come primo promotore il Presidente della Repubblica che ha sostenuto che “fare il vaccino è un dovere morale”?

La questione poi diventerà inevitabilmente esplicita, e di conseguenza causa di possibili e costanti fraintendimenti da parte di entrambe le fazioni, quando l’oggetto delle lezioni sarà la scienza. Quando dovrò spiegare il metodo sperimentale di Galilei, mediante il quale si decide cosa è scienza e cosa non lo è, non rischierò forse di essere oggetto di particolare interesse di qualche genitore che inculca ai propri figli l’attendibilità di maghi e santoni in versione 2.0?

Per converso, quando si tratterà di spiegare l’epistemologia novecentesca, le geometrie non euclidee, il teorema di Gödel, il principio di indeterminazione di Heisenberg che hanno condotto le scienze a prendere coscienza di non avere un valore assoluto, ma solo statistico-probabilistico e ipotetico-deduttivo, per cui qualunque legge scientifica non è una verità – come invece si riteneva ai tempi di Galilei e su fino a tutto il XIX secolo – non mi ritroverò nella condizione di essere considerato come un pericoloso sobillatore da chi, classe dirigente compresa, ha assunto una posizione di rigido e fideistico scientismo, che anche uno studente al primo anno di università sa essere insostenibile?

Saranno molti i professori che, in buona fede, nel normale svolgimento della loro professione potrebbero trovarsi in una situazione analoga e in molti, purtroppo, saranno anche i colleghi che per evitare situazioni di questo genere saranno tentati di schivare e tagliare dalle loro lezioni argomenti decisivi per la formazione dello studente, ma altresì divisivi e pericolosi in questo clima.

Lo Stato tutelerà se stesso, tutelando i docenti, o li lascerà – come quasi sempre fa – soli, gettandoli nel tritacarne mediatico che eventualmente si creerà intorno a loro? Con il procedere dell’anno scolastico avremo modo di scoprire se lo Stato difenderà la sua istituzione più importante e significativa – un professore che forma i futuri cittadini – o si lascerà andare a forme di tecnoscientismo sulla base del quale non è discutibile ciò che sostiene la scienza se non all’interno della scienza stessa in una sorta di riedizione moderna del cattolicesimo agostiniano: extra scientiam nulla salus?

*Professore al Liceo classico “G. d’Annunzio” di Pescara