Società

Il problema di alcune copertine ritoccate è il messaggio tremendo che arriva alle donne

Mi è capitato in mano ieri l’ultimo numero della rivista Vanity Fair. In copertina una ragazza che sembrava avere vent’anni, occhi chiari e capelli biondissimi. Sono rimasta a lungo a guardarla, perché non riuscivo a capire chi fosse. Sembrava Filippa Lagerback in versione ringiovanita. Poi leggo il nome sulla copertina e capisco che era Alessia Marcuzzi. Resto abbastanza esterrefatta, non tanto perché la Marcuzzi di anni ne ha quasi 50, ma perché quella non era la sua faccia, quella non era lei. Tra l’altro la copertina era in contraddizione persino con le foto interne, che anche se certamente lavorate almeno restituivano ai lettori un’immagine più vicina al suo viso (ad esempio, il colore degli occhi). Ho provato per gioco a mettere la foto sul mio profilo Facebook chiedendo ai miei amici di dirmi chi fosse senza pensarci troppo. Metà non l’ha riconosciuta, qualcuno ha detto Filippa Lagerback, altri Ilary Blasi. Insomma non ero la sola a non saper dire chi fosse una persona sulla copertina di un giornale.

Alessia Marcuzzi è una conduttrice che trovo oltremodo simpatica, qui non c’è alcun giudizio ma unicamente un’analisi. Non so se abbia fato ricorso alla chirurga estetica e non mi importa, come non importa sapere se quella copertina è il frutto, appunto, di un viso cambiato davvero oppure stravolto dai filtri e dal lavoro di post produzione sulla foto (probabilmente). Se è stata pubblicata, tuttavia, lei ha dato il suo consenso, perché non esce certo una copertina senza il consenso di chi è fotografato.

E dunque anche lei deve essere stata in qualche modo sedotta da questa figura bionda, con una faccia totalmente diversa dalla sua. Il che la dice lunga sulla pressione che attori e personaggi noti subiscono rispetto al loro aspetto, che li costringe a essere perennemente filiformi anche se hanno avuto magari figli e sono in età avanzata. Che li costringe a vergognarsi di un viso segnato dal tempo, che non è bello sicuramente, ma appare insopportabile e orribile se circolano unicamente modelli di donne giovanissime e dai lineamenti ormai convergenti come su un unico volto (questo è spaventoso). Deve essere un incubo che alla fine li spinge ad accettare compromessi che appaiono però ridicoli, assurdi. Come quello di apparire per quello che non si è.

Ma il problema della copertina di Vanity Fair, che voleva inneggiare all’autenticità e alla libertà ma di fatto ha dato un messaggio di assenza di libertà e di pericoloso conformismo, è che il messaggio arriva forte e chiaro alle donne e alle ragazzine di questo paese. A cui questa foto dice che non si può mostrare una donna di cinquant’anni, e che se questa donna si mostra deve apparire una ventenne, e cambiare persino i suoi connotati. Un messaggio, appunto, tremendo, e infatti le ragazzine di oggi fanno uso forsennato di filtri, se non di chirurgia plastica, già da giovanissime, perché la foto sui social deve essere perfetta, e quello che vi è rappresentato deve assomigliare più ai volti noti che che a se stessi. Quindi non importa tanto che la foto racconti chi è fotografato, ma che racconti la vicinanza di chi è fotografato al “Modello”.

A chi giova tutto questo? A nessuno. Tra l’altro lavorare una foto fino a rendere irriconoscibile un volto è qualcosa che tra i fotografi veri non si fa proprio. Un fotografo di valore, ci parlavo l’altro giorno per un articolo, lavora gentilmente sulle luci e su poco altro, lasciando che emerga la persona così com’è. Con il suo volto ma anche le sue emozioni, perché stravolgere il volto significa anche cambiare il messaggio e le emozioni che quel volto porta con sé. Dunque la foto, oltre che assurda, è anche muta.

In Norvegia è stato deciso di mettere uno stop alle foto ritoccate. E che comunque devono essere chiaramente segnalate. Non so se questa misura sia qualcosa che funzioni, per altri versi mi ricorda il ridicolo “adv” che gli influencer devono segnalare quando pubblicizzano un prodotto e che a poco serve. Il problema purtroppo è culturale, ma da qualche parte bisogna pur cominciare. E dovrebbero forse cominciare proprio loro, gli attori, i conduttori, chi è famoso insomma a negare il consenso a questo tipo di foto. A ribellarsi, a dire no a queste operazioni di stravolgimento della realtà, così terribilmente conformiste.

Certo, non è che siano neanche tanto naturali le foto in cui l’attrice appare simile a se stessa ma comunque bellissima nonostante l’età: vedi, per fare un esempio, Monica Bellucci, che non stravolge i lineamenti ma appare sempre come non sfiorata dal tempo, sia per un uso sapiente di luci e magari ritocchi fotografici leggeri, sia – immagino – per un lavoro feroce e continuo su se stessa, tra ginnastica, trattamenti, creme (un altro girone nel quale i personaggi noti sono spesso costretti e davvero c’è da chiedersi perché). Ma almeno, santo cielo, il viso è riconoscibile.

Qui invece siamo arrivati a scambiare finzione e verità in maniera radicale. Certo, abbiamo molti problemi più gravi e forse questo può non apparire il primo, eppure il distacco dalla realtà è la cosa più pericolosa che esista. Anche perché se vale per un viso può valere anche per il resto. Oltre al pericolo, c’è anche la noia e la banalità di operazioni del genere, che ormai dovrebbero apparire per quello che sono: penose e da bandire, perché non dicono nulla, perché non raccontano, appunto, nulla. Chi fa editoria dovrebbe avere invece l’ambizione della narrazione, sia delle persone che del mondo. Questo è il senso di un giornale, che altro se no?