Società

Il mio addio a Giuseppe De Donno: so bene cosa significa sentirsi isolati come medici

Carissimo Giuseppe,
la tua morte mi ha sconvolto e profondamente addolorato. Nei giorni scorsi, le uscite social di Roberto Burioni mi hanno profondamente nauseato. La mia storia personale è una storia dolorosissima di denuncia professionale e civile, ma anche di indomabile resilienza, come ha riconosciuto nella sua prefazione al mio libro I miei cento passi nelle Terre dei Fuochi il mio amico dagli Stati Uniti, il professor Antonio Giordano.

Io ero già Primario facente funzioni nel lontano 2003 e non lo sono stato più, ma ben prima del mio impegno per le “Terre dei Fuochi”. Ero troppo “talebano” nel mio incarico di farmacoeconomista dell’Ente, pur avendo ricevuto, nel lontano 2003, un encomio formale dal Direttore Sanitario Aziendale per il ruolo determinante avuto nel fare raggiungere al mio Istituto il primo pareggio di bilancio di una Istituzione sanitaria e di ricerca pubblica in regione Campania.

Quando cambiò l’Amministrazione mi fu detto, brutalmente, dal nuovo Direttore Sanitario che forse era meglio che mi occupassi anche di “prevenzione e munnezza”, e non solo di gestione. La mia risposta fu sintetica, come quella di Garibaldi: “Ok. Io sono un dipendente pubblico. Obbedisco. Ho una sola richiesta: ricordatevi sempre che me lo avete chiesto voi!” Per anni, incontrandoci nei corridoi dell’Ospedale mentre cambiavo le sorti ambientali dell’intera Italia, non solo in Campania, formando e informando correttamente con migliaia di conferenze gratuite eroi come Padre Maurizio Patriciello, ci siamo sempre reciprocamente salutati con un sorriso silenzioso, carico di reciproca ironia ma anche di reciproco rispetto.

Siamo napoletani, Giuseppe, e forse, da napoletani, siamo più capaci di resilienza attiva rispetto a voi del Nord. Io ho dovuto superare, e lo devo fare ogni giorno ancora, momenti di depressione tremendi e pensieri suicidi. Non mi sono solo rovinato la carriera, ma ho dovuto più volte affrontare anche la paura di minacce di morte dirette, come mi disse in faccia Carmine Schiavone, profetizzando sei mesi prima non il mio incidente stradale ma quello del Magistrato con cui collaboravo in Terra dei Fuochi, Federico Bisceglia.

Io non mi lascerò andare perché so di avere un dovere da compiere, qualunque costo io debba pagare. E cercherò sempre di farlo anche con un sorriso di resilienza ironica, da napoletano doc. Per questo bellissimo post sull’Arte Medica scritto vari anni fa fui segnalato all’Ordine dei Medici: chi fece la denuncia sperava in una sospensione che oggi per me meriterebbe Burioni per quello che ha scritto sui social, certificando di non essere mai stato un medico, che non è e non sarà mai solo uno scienziato: un medico come hai dimostrato di essere tu è sempre molto di più!

Come scrivo da decenni, i medici devono rivedere tutta la propria matrice etica e i nostri obbligati rapporti con la Scienza e la Industria Farmaceutica privata. Oggi sta diventando indispensabile ritrovare noi stessi e non lasciare soli i nostri colleghi meno resilienti come te, Giuseppe De Donno. Forse sarebbe stato meglio se fossi stato napoletano e ti fossi chiamato “Gennaro” De Donno. La storia stessa anche del nostro Santo Patrono è una meravigliosa storia di resilienza tutta napoletana, da quando fu accusato di “tradimento” per un miracolo forse mai fatto a favore degli occupanti francesi giacobini nel 1799, al meraviglioso e napoletanissimo “San Genna’, futtatenne!” quando fu retrocesso a Santo di serie B dalla curia romana nel 1969.

Nessuno più di me, farmacoeconomista da vent’anni, sa come sia cambiato, e in peggio, il nostro rapporto con le ditte farmaceutiche private, come io appresi molti anni fa leggendo il libro di Marcia Angel, già direttore del New England J. Medicine, Pharma e co (2006). Il meccanismo è molto semplice e ben oliato da decenni: gli Stati finanziano in gran parte la ricerca di base e traslazionale pagando comunque pochi spiccioli ai ricercatori giovani preparatissimi e precari, pagati meno di una “vedetta” della camorra (circa 1500 euro al mese grazie ai farmaci/droga). Poi arrivano le ditte farmaceutiche private che, aiutando a pubblicare bene e quindi aiutando la carriera dei ricercatori, pagano 4 soldi allo Stato il brevetto ma solo quando sono sicuri che il farmaco funziona.

Quindi avviano immediatamente con grandi finanziamenti e pubblicazioni scientifiche necessarie alla carriera dei propri “opinion leaders” gli studi sull’uomo di fase I, II e III, e infine rivendono il farmaco agli Stati che lo avevano finanziato all’inizio a costi sino e oltre finanche il 1500% del prezzo reale, sia di acquisto del brevetto che di produzione del farmaco. Funziona così ormai da oltre trenta anni in modo sempre più sofisticato, legale, e assolutamente micidiale: ci voleva il Covid per farlo capire a tutti, anche alla Ue!

Lo Stato italiano incrementa continuamente la spesa per il Ssn, ma in gran parte lo fa oggi soltanto per pagare i farmaci sotto brevetto. Nel triennio 2016-2019 , cioè ben prima del Covid, per un incremento annuo di circa un miliardo di euro l’anno sui 110 miliardi complessivi per il Ssn, circa 900 milioni sono stati utilizzati per pagare i farmaci sotto brevetto ad alto costo e soltanto 100 milioni per pagare i sanitari che li utilizzano. E ricordo infine che 110 miliardi di euro/anno è anche la cifra stimata di sola evasione fiscale in Italia, cioè una cifra pari esattamente a quanto lo Stato spende per finanziare il Sistema Sanitario Nazionale pubblico, pari a circa il 6% del Pil nazionale. È una cifra assolutamente tragica e record in Europa! Evadiamo tasse esattamente tanto quanto paghiamo l’intero Sistema Sanitario pubblico, a sua volta divorato sempre più dai farmaci sotto brevetto a danno della remunerazione dei medici e dell’intera assistenza sanitaria pubblica!

Ora si sono celebrati i tuoi funerali: non ce l’hai fatta a resistere alla umiliazione dell’isolamento perché non riuscivi ad adeguarti a questo sistema schizofrenico e suicida per noi medici. Addio, Giuseppe, con affetto e dolore infinito. Magari forse, se ti fossi chiamato Gennaro, saresti rimasto ancora con noi: non più Primario, come me, ma amatissimo e luminoso esempio di Medico.