Cronaca

Covid, vaccinare adolescenti e bambini? Poco spazio a chi solleva perplessità

L’accelerazione cui stiamo assistendo nel nostro paese per indurre a vaccinare contro Covid-19 anche adolescenti e giovani suscita sempre più perplessità e c’è da chiedersi perché non si tenga in maggior conto l’esperienza di altri paesi, quali l’Inghilterra, ben illustrata in questa intervista a Robert Dingwall, o la Germania, ove la vaccinazione da 0 a 17 anni non è raccomandata.

Ancora una volta in Italia nessuno spazio viene dato per un confronto alla pari fra chi ha opinioni diverse o solleva perplessità scientificamente motivate. E soprattutto mai si chiede ai vari opinion leader del settore di esplicitare i propri conflitti di interesse in materia. Eppure l’articolo 4 del Codice di Deontologia Medica chiede ai medici di “attenersi alle conoscenze scientifiche e di ispirarsi ai valori etici (….), non soggiacere a interessi, imposizioni e suggestioni di qualsiasi natura”.

Secondo autorevoli voci, con cui pienamente concordo, la vaccinazione in adolescenti e giovani manca dei presupposti sia scientifici che etici per promuoverla. Giovani e ragazzini sono infatti risparmiati dal Covid-19 e, quand’anche contraessero il virus, la sintomatologia è comunque, nella stragrande maggioranza, lieve/moderata o addirittura assente.

Ciò porta comunque ad acquisire, anche in questa fascia di età, una immunità che è più a largo spettro e più duratura rispetto a quella ottenuta coi vaccini, utilissima per contribuire a quella immunità di gregge di cui tanto si parla. Bambini e giovani, poi, non sono “serbatoi” o super diffusori: una raccolta di cluster familiari ha dimostrato che è improbabile che i bambini fossero all’origine dei focolai, confermando quanto emerso a Vò dove nessun bambino sotto i 10 anni è risultato portatore.

In nessuno dei 79 studi, oggetto di una revisione sistematica, si sono trovati virus vivi oltre il nono giorno; la massima infettività si riscontra nei due giorni che precedono i sintomi e per 5 giorni successivi, quindi un bambino che nell’arco di un anno contraesse l’infezione sarebbe contagioso per poco più di una settimana, rimanendo poi immune per tutto il resto del tempo.

Come si può quindi ritenere etico sottoporre soggetti che hanno tutta la vita davanti ad un trattamento di cui – come riconosciuto dagli stessi produttori – nulla si sa circa gli effetti a medio/lungo termine e che verrebbe praticato non per proteggerli da una malattia che non presenta rischi per loro, ma per tutelare altre categorie di persone, come pubblicamente dichiarato?

Ma non basta, al di là delle rassicuranti conclusioni degli autori dello studio randomizzato condotto con vaccino Pfizer vs placebo (soluzione fisiologica) in adolescenti da 12 a 15 anni e giovani da 16 a 25 anni si sono avute reazioni avverse severe nello 0,6% dei casi fra 12-15 anni (un caso ogni 167) e nel 1,7% fra 16-25 anni (un caso ogni 59). Se in Italia tutti i ragazzi da 12 a 15 anni e i giovani da 16 a 25 si vaccinassero, si può stimare che dovremmo contare rispettivamente 13.600 e 100.000 complicanze di questo tipo. E anche il problema emerso in Israele delle miocarditi non è certo trascurabile ed è sotto osservazione anche da parte del CDC di Atlanta. Possibile che non riusciamo a fermarci, ragionare e confrontarci?

Non mi sembra che la strategia ad oggi messa in campo di puntare solo sui vaccini stia dando i risultati sperati, anzi. La situazione attualmente non è certo migliore dello scorso anno, in cui ancora non disponevamo di questi presidi.

Per contrastare un virus che muta rapidamente e che nessuno ormai più si illude di debellare, in molti riteniamo che approcci molteplici possano portare a risultati migliori. Penso ad adeguate e precoci terapie domiciliari, vaccinazione di anziani e fragili, immunizzazione “spontanea” in giovani e bambini, norme igieniche, miglioramento delle abitudini alimentari, rafforzamento del sistema immunitario.

Questo approccio, visto che con questo virus dovremo convivere ancora a lungo, ci sembra il più sensato, quello che maggiormente favorisce il reciproco adattamento, la “convivenza” che da sempre caratterizza la coesistenza fra le diverse specie sul pianeta. Al contrario, con il massiccio ed indiscriminato ricorso alla vaccinazione di massa, si rischia di favorire l’insorgenza di varianti resistenti più aggressive, come già ipotizzato ben 20 anni fa.