Cultura

C’è un luogo che unisce il sacro e profano dell’arte senese: il Complesso di Sant’Agostino a Montalcino

Parlando di beni culturali, non m’è mai piaciuta l’espressione “il petrolio d’Italia”; trovo stucchevoli le classifiche sul numero, sempre diverso, riguardo la consistenza del nostro patrimonio artistico, o anche l’elenco dei 55 siti Unesco. Tuttavia penso che, in un paese privo di materie prime, tra cui il metallo più prezioso, che alcuni ostinati ricercatori si affannano a setacciare nelle acque padane, ben si addica viceversa, l’espressione “l’oro d’Italia”.

Vi sono zone che non hanno né mare né montagna ma sono riuscite nel tempo ad accumulare e proteggere il proprio “oro”, cioè quel patrimonio tangibile di beni architettonici irripetibili in simbiosi con la natura che è soprattutto agricoltura.

E per chi non anela a sole vacanze marine e montane, può ad esempio sempre farsi un viaggio a Siena e nel senese, anche per la sola visione delle ondulate crete. Un paesaggio che è un continuo alternarsi di fitta boscaglia e colline argillose con cromie dal grigio al bruno, tali da farle assomigliare ad un paesaggio lunare, con laghi dalle forme floreali, che ti appaiono all’improvviso come un miraggio. Per meglio apprezzarle si può godere la vista da uno dei tanti bus di linea o dal treno a vapore detto Treno Natura, in funzione però solo in primavera ed autunno, quest’anno dal 25 settembre. Si raggiunge quindi Montalcino, uno dei Comuni delle crete, dove si notano fitti filari di sangiovese, il cui vitigno qui si pregia della denominazione di Brunello.

In questi luoghi la natura è soprattutto agricoltura di grande qualità, un’agricoltura che senz’altro sarebbe piaciuta ad Emilio Sereni e, in una sintesi perfetta senza timore, si può trovare un Museo laico-religioso, un mix perfetto di sacro e profano e nessun imbarazzo, anzi orgoglio e fierezza per il riuscito connubio.

Mi riferisco al Complesso creato nell’ex Monastero di Sant’Agostino a Montalcino, dove tuttora c’è la Chiesa aperta al culto, il Museo Civico con le collezioni dei Maestri Senesi, da Lorenzetti a Simone Martini passando per accedervi dal chiostro coperto – ho qualche riserva sulla tipologia – dove si trova una esposizione dei prodotti della zona: Olio, Tartufo bianco, detto il Diamante delle Crete e lo zafferano. La sorpresa è però il vero Tempio, così è definito, del Brunello, dove “l’Oro di Montalcino” nella Cripta della Chiesa, viene consacrato a Culto. Non manca, oltre la selezione ed il racconto delle zone, miniera di questo oro, naturalmente la vendita.

Un accordo singolare e felice tra Curia Arcivescovile, Comune e Consorzio del Brunello, il cui Presidente Stefano Cinelli Colombini ama ricordare con la sagacia tipica dei senesi, quanto i suoi progenitori siano stati avveduti a fruire di ogni angolo di terra per ricavarne il vero oro, anche recuperando e restaurando tutto il patrimonio rurale, perché da sempre avversi all’ideale del rudere che dice “è tanto caro ai critici d’arte”. In effetti se la rifunzionalizzazione viene eseguita con misura e gusto, termine non più usato ma da rivalutare, quasi tutto è possibile, anzi auspicabile, anche sentendo il giovane parroco asserire, che fare ricchezza con l’agricoltura e con la cultura è cosa buona e giusta.

Ovviamente prima di questa immersione artistico/sacra/enologica, non si può non fare tappa a Siena per la scopertura del Pavimento del Duomo, cinquecento anni di arte dal trecento fino all’ottocento per opera di artisti senesi fra cui il Sassetta, Domenico di Bartolo, Matteo di Giovanni, Domenico Beccafumi. Il percorso desta emozioni uniche, sembra di stare nel paradiso dantesco, non a caso il sottotitolo è “come in Cielo così in Terra”. La possibilità di godere di questa scopertura eccezionale è sino al 31 luglio e poi dal 18 agosto al 17 ottobre, data ideale sia per il clima sia per la concomitanza con il “treno natura”.

Una tappa poi a San Gimignano è d’obbligo con la mostre alla Rocca e nello Spedale di Santa Fina per poi sciamare nelle “Notti Lucenti” sotto le Torri per le viuzze e coglierne la suggestione; quindi finire in bellezza in una taverna a gustare la Vernaccia, l’unico bianco della Toscana, nella terra dei rossi doc sin dai tempi dei Medici. Cosimo III, fu il primo a costituire il marchio doc, come sublimamente raccontato, nel Museo Privato in via dei Servi a Firenze tra il Duomo e l’Annunziata; anche qui vini orgogliosamente e giustamente in vendita.

Insomma l’oro in Italia esiste (l’ultimo rapporto di Confindustria lo valuta 135 miliardi) e non solo a pagliuzze nei fiumi, ma abbondantemente, come affermano a Montalcino, nel suo patrimonio artistico e nei frutti della Terra, in una unica grande Bellezza.