Diritti

Vaticano e ddl Zan, il difetto è nel Concordato stesso

C’è sempre una prima volta e mi verrebbe proprio la voglia di togliermi un paio di sassolini. Era il 1983, un anno prima della revisione frettolosa del Concordato appassionatamente voluta da Craxi, che volle emulare Mussolini riuscendoci. Io e altri scrivemmo per mettere in guardia da eventuali rischi che il Concordato comporta in sé, trattandosi di un accordo, concordato appunto, tra due Enti autonomi e indipendenti.

Nel 1929 a Palazzo del Laterano a Roma furono sottoscritti i “Patti Lateranensi” tra lo Stato italiano e la Santa Sede. Essi comprendono un “Trattato” (internazionale) con cui si riconosce l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede entro i confini della Città del Vaticano. Al trattato fu allegata una “Convenzione finanziaria” per chiudere la “Questione Romana” dell’espropriazione di tutti i beni in occasione dell’Unità d’Italia. L’altro atto giuridico fu il “Concordato” con cui in materia civile e questioni religiose, ancora oggi, si definisce la relazione (appunto concordata) tra Stato italiano e Chiesa italiana. È quindi improprio definirlo “concordato col Vaticano”. La questione è spinosa e, cosa ancora più grave, è la prima volta che uno dei due contraenti vi fa ricorso in modo formale e ufficiale.

Al tempo della revisione del Concordato (1984), in diversi proponemmo la rescissione totale di esso e di sostituirlo con una “Convenzione” per la gestione delle questioni in comune (monumenti, arte, scuola, ospedali, eccetera). Non fummo ascoltati. Se oggi la Chiesa italiana, tramite la Segreteria di Stato, ricorre alla diplomazia temendo che la legge Zan possa produrre un vulnus nel Concordato, è segno che la questione è grave e non deve essere presa alla leggera, trattandosi di aspetti giuridici internazionali che esigono l’intervento di una commissione paritetica per l’interpretazione autentica del Concordato stesso.

Senza scendere a livello di contenuto della legge Zan, che ormai è solo un pretesto, la questione è particolarmente grave da due punti di vista. Da un lato, limita l’autonomia e l’indipendenza dello Stato, perché l’intervento si pone in atto in fieri, cioè nel processo di approvazione della legge. Ne deriva che l’intervento della Santa Sede si qualifica “intervento preventivo” e questo non è lecito perché l’eventuale vulnus è solo temuto, ma non è attuato. Prima si fa la legge e solo dopo la parte che si sente offesa e vulnerata può protestare.

Dall’altro lato, sarebbe stato prudente che il legislatore, prima di proporre il ddl Zan e altri, avesse esperito anche la ricaduta sul Concordato, magari interloquendo in via informale, per garantire espressamente la libertà di espressione, di organizzazione e di manifestazione del pensiero come previsto dall’art. 2 §§1-2. Se, per esempio, gli Oratori o le Scuole private (all’80% cattoliche) dovessero essere obbligate a fare iniziative che non condividono è bene che la legge lo preveda e ne escluda l’obbligatorietà, determinandone i limiti e chiarendo modalità e termini, altrimenti si cadrà dalla padella nella brace. Un conflitto permanente.

Il difetto comunque è nel manico: cioè nel Concordato stesso, che è un limite alla libertà dello Stato e della Chiesa. Quando la libertà deve essere regolata, è sempre un pericolo perché il regolamento sarà inevitabilmente al ribasso e al minimo denominatore. Per sua natura la libertà non può essere aggettivata: o c’è o non c’è. Altra cosa è l’esercizio di essa che ricade, di volta in volta, sotto il riflettore del Codice penale. Per quanto riguarda la Chiesa, in questo caso cattolica, il “Concordato” è una limitazione della libertà del Vangelo e una briglia alla “profezia”, caratteristica essenziale di esso, mentre al contrario ne fa una controparte “istituzionale” politica, eppure frenata e ingabbiata.

Sarebbe bello che la Chiesa si liberasse per sempre dal condizionamento di sentirsi assediata e di vedere sgretolato il potere indiscusso che le veniva riconosciuto, specialmente sul piano morale. Oggi il mondo è cambiato, ed è cambiato da un bel pezzo, e bisogna riconoscere che valori religiosi o visioni etiche non possono più essere imposti “per legge”, come se lo Stato fosse un volgare “braccio secolare” (durante i governi Berlusconi è avvenuto anche questo). Bisogna imparare che il Vangelo è una proposta e può camminare solo sulle gambe della testimonianza nella coerenza della verità.

Sarebbe bello se la Chiesa buttasse all’aria tutti i suoi diritti e privilegi e si buttasse da sé nella mischia, accettando ogni singola persona “così come è”, senza volerla diversa, ma offrendole solo la trasparenza della propria vita come garanzia che valga la pena vivere un orizzonte di vita evangelica, capace di scaldare il cuore e coinvolgere uomini e donne, propri compagni di viaggio. Ricorrere all’”offesa del Concordato” è l’atto di chi sa di essere stato sconfitto, ma vuole rimandarne a più tardi possibile la presa di coscienza. Povertà di spirito che qui è esattamente l’opposto dei “Beati i poveri nello spirito”.