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Vitalizio al corrotto Formigoni, ecco chi sono i due senatori che sono passati dal M5s alla Lega e hanno votato per la restituzione dell’assegno

Alessandra Riccardi e Ugo Grassi sono stati fondamentali per restituire il vitalizio all'ex governatore della Lombardia, nonostante una condanna definitiva per tangenti. Una decisione particolarmente delicata quella presa prima dalla commissione Contenziosa, di cui fa parte Riccardi, e poi confermata dal consiglio di Garanzia, di cui è membro Grassi: adesso tutti gli ex senatori pregiudicati possono sperare di riavere l'assegno. Ecco chi sono i due parlamentari, eletti dal M5s nel 2018 e poi passati al Carroccio tra la fine del 2019 e il giugno del 2020

A parole se ne sono andati per lo stesso motivo. Per una “era diventato impossibile portare avanti idee e progetti” per i quali aveva deciso di far parte del Movimento 5 stelle. Per l’altro il dissenso non nasceva certo da un suo “cambiamento di opinioni, bensì dalla determinazione dei vertici del Movimento di guidare il paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine“. Oggi Alessandra Riccardi e Ugo Grassi sono evidentemente riusciti a esprimere le loro opinioni: sono i senatori che con il loro voto sono stati fondamentali per restituire il vitalizio a Roberto Formigoni, nonostante una condanna definitiva per tangenti. Una decisione particolarmente delicata quella presa prima dalla commissione Contenziosa, di cui fa parte Riccardi, e poi confermata dal consiglio di Garanzia, di cui è membro Grassi: adesso tutti gli ex senatori pregiudicati possono sperare di riavere l’assegno.

Il privilegio era stato cancellato per i parlamentari condannati a pene detentive superiori ai 2 anni dalla delibera voluta da Pietro Grasso nel 2015. Quella delibera oggi è carta straccia, almeno a Palazzo Madama: erano queste le idee e i progetti che Riccardi e Grassi non riuscivano a esprimere nei 5 stelle? Non è dato saperlo. Di sicuro nelle ultime ore nei corridoi del Senato inizia a diffondersi un sospetto: non è che Matteo Salvini ha programmato accuratamente la campagna acquisti della Lega? E che dunque le adesioni al Carroccio non sono state completamente casuali ma frutto di uno scientifico corteggiamento? Riccardi e Grassi, infatti, erano i due esponenti indicati dai 5 stelle negli organi che decidono sulle controversie interne a Palazzo Madama. La commissione Contenziosa, presieduta dal berlusconiano Giacomo Caliendo, è quella che per prima ha restituito l’assegno a Formigoni. Decisione confermata dalla consiglio di Garanzia, che è un po’ il tribunale d’appello di Palazzo Madama e come la prima è guidata da un esponente di Forza Italia, Luigi Vitali. “Purtroppo, sia all’interno della Commissione Contenziosa sia nel Consiglio di Garanzia, non siede alcun componente titolare esponente del MoVimento 5 Stelle, la forza politica che da sempre si batte contro questo odioso ed anacronistico privilegio”, ha fatto notare oggi Giuseppe Conte. Ed è vero visto che dopo la campagna acquisti di Salvini le due caselle in quota 5 stelle si sono colorate di verde: i posti dei grillini sono passati alla Lega. Con l’effetto che il Carroccio è oggi il partito più presente di entrambi i tribunali interni del Senato. Nella Contenziosa oltre a Riccardi c’è anche Simone Pillon, mentre gli altri due componenti sono laici (un magistrato e un avvocato). Nel consiglio di Garanzia Grassi si è aggiunto al leghista Pasquale Pepe, ed è stato decisivo per confermare il ripristino del vitalizio a Formigoni: la decisione emessa nella tarda serata di ieri, infatti, è passata per tre voti a favore contro due contrari, quelli di Alberto Balboni di Fratelli d’Italia e Valeria Valente del Pd.

Insomma: il voto dei due ex grillini convertiti sulla strada di Alberto da Giussano sono stati fondamentali per restituire il privilegio all’ex governatore della Lombardia. Un cortocircuito se si pensa che Riccardi e Grassi sono stati portati in Parlamento da un partito che aveva fatto della lotta ai privilegi – e segnatamenti ai vitalizi – una bandiera della loro campagna elettorale. E dire che la Riccardi sembrava essere una grillina di stretta osservanza. Avvocata civilista di Cinisello Balsamo, del comune in provincia di Milano si candida sindaca nel 2013: prende il 13% e va all’opposizione dell’amministrazione di centrosinistra. Tre anni dopo si dimette dal consiglio comunale per motivi personali e nel 2018 centra l’elezione al Senato. A Palazzo Madama viene inserita in commissione Affari costituzionali e nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. È lì che si consuma il primo grande strappo coi 5 stelle, dopo settimane di malumori sotterranei: il 26 maggio del 2020 il suo voto, in dissenso rispetto all’indicazione del M5s, è decisivo per salvare Salvini dal processo sul caso Open arms. Palazzo Madama, in seguito, ribalterà le indicazioni della Giunta e oggi il leader della Lega è stato rinviato a processo a Palermo.

Un anno fa, dopo quel voto ribelle, si era subito diffusa l’ipotesi di un passaggio alla Lega di Ricciardi. Che però aveva smentito nettamente. “Ho votato no all’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Salvini semplicemente perché, come nel caso della Diciotti, a mio avviso sussisteva anche in questo caso l’azione di governo nel perseguimento della politica dei flussi migratori“. Quella sera i cronisti le chiesero: non è che il voto a favore di Salvini era il preludio di un suo passaggio alla Lega? “Io sono nel Movimento”, aveva replicato lei, quasi indignata. Meno do un mese ecco il passaggio al Carroccio. “Sono arrivata a questa scelta dopo averci riflettuto a lungo – sosteneva Riccardi – non è stato semplice ma era diventato impossibile portare avanti idee e progetti per i quali avevo deciso di far parte del Movimento 5 stelle”. A parte le idee e i progetti, alla Lega Riccardi ha portato in dote la sua poltrona da vicepresidente della commissione Contenziosa. Per quell’incarico i grillini l’avevano scelta nel novembre del 2019: aveva sostituito la collega Elvira Evangelista che si era dimessa in polemica per l’orientamento assunto dalla commissione chiamata a decidere sul taglio dei vitalizi degli ex senatori.

Alla corte di Salvini, Riccardi trova una serie di ex compagni grillini. Tra questi pure Ugo Grassi, professore di diritto civile dell’Università Parthenope di Napoli che nel 2018 Luigi Di Maio aveva candidato al collegio uninominale di Avellino. Entrato a Palazzo Madama come esponente della società civile, Grassi era stato scelto per fare il presidente della commissione Affari costituzionali. Incarico che lascia alla fine del settembre del 2019: era appena nato il governo Pd-M5s e lui sosteneva di avere bisogno di un “momento di riflessione“. Aveva quindi preso carta e penna per scrivere una lettera lunghissima a Davide Casaleggio, il cui senso è tutto nell’ultima riga: “Aprire un dibattito pubblico su Rousseau ritengo sia salutare“. Non si sa se Casaleggio gli abbia risposto. Di sicuro durante il suo “momento di riflessione” il senatore ha trovato il tempo per firmare insieme ad altri 64 senatori la richiesta di un referendum confermativo che nei fatti ha rinviato l’entrata in vigore della riforma per tagliare i posti da parlamentare. I tempi sono maturi: nel dicembre del 2019 il professore campano aderisce alla Lega, dopo aver votato contro la risoluzione di maggioranza sul Mes e in aperto dissenso con legge di bilancio del governo giallorosso. “Il punto è che il mio dissenso non nasce da un mio cambiamento di opinioni bensì dalla determinazione dei vertici del Movimento di guidare il Paese con la granitica convinzione di essere i depositari del vero e di poter assumere ogni decisione in totale solitudine”, spiega per motivare il cambio di casacca. Luigi Di Maio, suo talent scout in politica, non la prende bene: “Dica quanto costa al kg un senatore per la Lega. Questa è la solita dinamica dei voltagabbana degli ultimi 20 anni”.

Il senatore napoletano era tornato a far parlare di sè poche settimane fa. Nel gennaio del 2021, quando il governo Conte era in crisi, aveva dichiarato a Repubblica di essere stato chiamato dal premier a Palazzo Chigi: “A un certo punto mi convoca Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e mi dice: Vuoi qualche incarico?. Io resto di sasso”. Quando era avvenuta questa convocazione? Il leghista non l’aveva specificato. Il suo racconto, però, aveva provocato una dura presa di posizione di Palazzo Chigi: non c’era stata alcuna offerta da parte di Conte a Grassi. L’incontro, spiegava la presidenza del consiglio, era stato solo “di cortesia” visto che “anche Grassi, come il presidente Conte, è professore ordinario di diritto privato”. Ma soprattutto non risaliva ai giorni della crisi di governo ma al 31 ottobre 2019 “come puntualmente annotato nel registro di segreteria della Presidenza del Consiglio”: più di un anno prima rispetto al racconto di Grassi e addirittura quando il senatore non era ancora passato alla Lega.