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Giro a ruota libera – Strade bianche, belle e terribili: Schmid taglia il traguardo per primo ma è Bernal a stracciare tutti

Strade “bianche”, non asfaltate, preziose e spettacolari, sapore di ciclismo eroico, delle corse di una volta, con quella polvere che avvolge come nebbia i corridori, arrossa gli occhi ed insidia i polmoni. Strade decisive. Nel primo dei quattro tratti sterrati previsti dall’undicesima tappa del Giro, cominciata a Perugia, la corsa esplode. Siamo dalle parti di Torrenieri, frazione di Montalcino, lungo la via Francigena, territorio di Brunello e turismo d’élite. Dura nove chilometri l’antipasto d’antico, e non consola il gruppo che attorno ci sono vigneti tra i più pregiati del pianeta.

Le strade bianche sono belle e terribili, infide e meravigliose. Ma sono anche trappole infernali. Già il primo assaggio basta per mettere nei guai Remco Evenepoel. Il giovanissimo belga è a disagio sullo sterrato, bisogna capirlo, con quello che ha passato: è un resuscitato, in fondo. L’incubo di una nuova caduta lo limita nella destrezza. Il ciclismo è sport crudele. Con cinismo, infatti, la maglia rosa Egan Bernal striglia i suoi e gli uomini della Ineos si mettono a tirare come forsennati, assieme ai colleghi della Movistar che hanno in gran spolvero Marc Soler, uomo di classifica. Evenepoel si stacca. Con Bernal tengono botta quasi tutti i migliori, compreso un brillante Vincenzo Nibali e il fido Giulio Ciccone. Va come un treno anche Peter Sagan, rigenerato dalla vittoria di Foligno. Quando la strada si fa ripida scivola indietro, poi recupera subito.

Davanti, la fuga iniziale di undici corridori perde ogni tanto qualche pezzo. Fanno gli elastici. Quando mancano quaranta chilometri all’arrivo, sono infatti ancora in nove. Ci sono tre italiani: Francesco Gavazzi, Enrico Battaglin e Alessandro Covi. Con loro, l’ultimo in classifica Roger Kluge, un marcantonio tedesco di 35 anni che non è un signor nessuno, anzi, ha vinto un mondiale (l’americana) nel 2018, un argento olimpico ai Giochi di Pechino del 2008, un palmarès ricco di successi, 23, compresa la tappa di Cassano d’Adda al Giro del 2016. Il che la dice lunga sulla qualità media dei corridori di questo Giro. Dalla fuga cerca di pigliare il largo il giovane Mauro Schmid, svizzero campione under 23. A ventisei chilometri il vantaggio dei fuggitivi scende a sette minuti. Forse ce la fanno. Il circuito attorno a Montalcino prevede due volte l’arrampicata al Passo del Lume Spento, già cattivo al primo passaggio, micidiale al secondo. Perché il ripido tocca il sedici per cento, e la polvere raspa la gola.

Prime vittime illustri, Daniel Martin e Davide Formolo, rispettivamente l’ottavo e il decimo della classifica. E’ il primo setaccio. Bernal il frullatore. Evenepoel non pare in gran forma, probabile abbia mal gestito la giornata di riposo. Fatica nel riprendere la maglia rosa che l’aveva imperiosamente staccato a Bibbiano. All’ennesima accelerazione degli Ineos, scivola inesorabilmente in fondo al plotone dei più forti. Che ricominciano a tarellare per scrollarselo di dosso. Il timorato Remco paga pegno. Bagarre. La maglia rosa è scatenata. Pochi chilometri di furiose pedalate e Remco perde un minuto. Fine dei sogni. E delle illusioni. Bernal deve molto al sacrificio di Pippo Ganna e Gianni Moscon che gli hanno fatto da locomotive.

Lo stizzoso Evenepoel si strappa l’auricolare, mentre l’ammiraglia lo pedina. Viene ordinato ad Almeida, che stava nel gruppo di Bernal, di aspettare Remco. Decisione tardiva. La verità è che questo Giro fin dall’inizio è stato affrontato a tutta. Certi sforzi si pagano, specie se sei reduce dall’inferno delle operazioni e della riabilitazione. Non si improvvisa una corsa a tappe come il Giro, anche se si è un fenomeno. I miracoli sono il passato del ciclismo. Non c’è più “quell’incrocio di destini in una strana storia”, come canta Francesco De Gregori, “di cui nei giorni nostri si è persa la memoria”.

Via via il gruppo di Bernal si assottiglia. A cinque chilometri restano in otto: perdono contatto Nibali, poi Soler, va in crisi Ciccone. Resiste Damiano Caruso. E anche il sornione Simon Yates.

Davanti, l’altra corsa. Quella degli eroi di giornata. Il ventunenne Schmid riesce a staccare i compagni della scappata bella, tranne Covi, che di anni ne ha solo uno in più. La bella gioventù del pedale nobilita questo Recovery Giro. Lo svizzero domina la volata. Pure per lui, prima vittoria. Continua la favola delle “primizie”: il Giro Chioccia.

Dietro, la saga dei migliori si riduce ad un nuovo assolo di Bernal. Straccia Vlasov che aveva osato un allungo, a due chilometri e rotti dal traguardo. Riprende il tedesco Emanuel Buchmann che si era involato un minuto prima. Arrivano (quasi) insieme, perché Bernal lo molla senza pietà. Nell’ordine d’arrivo dei migliori, Vlasov accusa 23 secondi da Bernal. La tappa dello sterrato ha sterrato la classifica. Nibali e Soler beccano 1’58” dalla maglia rosa. Evenepoel peggio: 2’08”, come Bardet.

Si salva Caruso. Si è tagliato i baffi, non i denti. Lo sanno tutti che quando la corsa si fa dura, devi stringere i denti e pedalare. Con mestiere il ragusano contiene i danni: perde 26” dalla maglia rosa, ma si ritrova da settimo a terzo assoluto in classifica (a 1’12”), dietro Vlasov, con Ciccone ottavo. Per qualcuno, sullo striscione del traguardo non c’era scritto Montalcino. Ma Caporetto.