Società

Questa pausa forzata può servire a ripensare i nostri viaggi e a pensare ai non viaggi degli altri

A differenza di Claude Lévi-Strauss io amo i viaggi e ho sempre amato viaggiare. Per questo, come molti altri, ne sento la mancanza. Leggo, da mesi a questa parte, molti sfoghi di amici e conoscenti che si lamentano di questo blocco, che ci impedisce di viaggiare. Pur condividendo questa sensazione di vuoto, credo che questa situazione sia utile per riflettere sulla nostra condizione privilegiata.

Il viaggio è diventato per noi uno svago abbastanza accessibile. A partire dagli anni Settanta i costi dei voli aerei sono diminuiti fortemente e luoghi che prima erano “lontani” sono diventati a portata di mano di qualunque individuo di medio reddito. Il mondo si è rimpicciolito: Asia, Africa, America latina sono diventate mete facili da raggiungere, ottime per appagare le nostre curiosità e il nostro immaginario esotizzante e per costruirci un’identità di “viaggiatori” (non “turisti”, non sia mai!).

Abbagliati da questo scenario e ingolositi dalla voglia di viaggio, quante volte ci siamo resi conto che le genti che spesso incontravamo nei nostri viaggi, non avevano mai avuto la possibilità di “viaggiare” per piacere. Quante di quelle persone avrebbero trascorso la loro vita nel loro villaggio, perché persino la città più vicina era inaccessibile per i loro poveri mezzi? Oppure il loro viaggiare era una costrizione, non una scelta: viaggiare per trovare un destino migliore. È la condizione di molte persone nel mondo ancora oggi, con l’aggiunta di un paradosso: molte delle rotte frequentate dai viaggiatori, sono le stesse percorse dai migranti, ma contromano e molto più care e costose.

Il viaggio, se interpretato come esperienza, può essere una buona scuola: «Il mondo ci insegna a essere umili» ha scritto Ryszard Kapuscinski e se sappiamo leggerlo possiamo imparare molto su di noi. Possiamo farlo prendendo gli altri come specchio, che ci restituisca un’immagine di noi, diversa da quella che siamo abituati a vedere. Durante i miei soggiorni in Africa quanto volte mi è capitato di sentirmi chiedere quanto era costato il biglietto aereo per venire fino lì. E la risposta era: il reddito medio annuale di una famiglia locale. E con il denaro della mia macchina fotografica, si sarebbero potuti mandare a scuola decine di bambini. Spesso chi viaggia, al suo ritorno, racconta: “Ho visto quello, ho visto questo…”, ma troppo poco spesso raccontiamo di come siamo stati visti.

Forse questa pausa forzata può servire a ripensare i nostri viaggi e a pensare ai non viaggi degli altri. Comprendere che siamo stati fortunati e gioire per questo, anche se oggi ci manca. Proviamo a metterci dall’altra parte e forse le cose sembreranno molto meno pesanti di quanto non siano. Torneremo a viaggiare? Credo di sì, ma sarebbe bello se lo facessimo con una coscienza diversa, allora questa sospensione sarà servita a qualcosa. “Al momento dell’imbarco fate che abbia cura di non portare in viaggio se stesso. Molti uomini – diceva Seneca – non ritornano migliori di quando sono partiti, si portano con sé nel viaggio”.

Ecco, proviamo a non portarci con noi e a guardare con gli occhi degli altri. Il mondo sarà diverso.