Calcio

Dazn, i soldi del magnate ucraino e l’idea di una Netflix dello sport: chi c’è dietro l’azienda che porterà la Serie A solo online da settembre

Da settembre e fino al 2024 il campionato si vedrà tutto solo su Dazn, una App sul telefonino o comodamente seduti sul divano tramite smart-tv poco importa, sempre e comunque online. Costo ancora da stabilire, si dice tra i 25 e i 35 euro al mese. Una novità assoluta. Ma il successo nella gara per i diritti tv del massimo campionato arriva da lontano: dal match-analyst fino alla partnership con Tim, ecco la creatura di Len Blavatnik

Come si pronuncia Dazn. Come si vede Dazn. Cosa è Dazn. Tre anni fa non ci chiedevamo altro, un po’ incuriositi, un po’ infastiditi dall’arrivo di questa pay-tv – che poi non è nemmeno propriamente una tv, è solo pay – che aveva costretto milioni di tifosi al doppio abbonamento per vedere la Serie A. Mai avremmo immaginato che un giorno avrebbe preso il posto di Sky nel salotto degli italiani, promettendo, quasi minacciando di rivoluzionare le abitudini del Paese intero.

Da settembre e fino al 2024 il campionato si vedrà tutto solo su Dazn, una App sul telefonino o comodamente seduti sul divano tramite smart-tv poco importa, sempre e comunque online. Costo ancora da stabilire, si dice tra i 25 e i 35 euro al mese. Una novità assoluta. Non è però una novità Dazn. La Ott (“over the top”, piattaforma di contenuti disponibile online), abbiamo cominciato a conoscerla nelle ultime tre stagioni, ed è anche per questo che la Lega Calcio si è convinta ad affidarle il suo bene più prezioso. Probabilmente non sarebbe mai successo con una debuttante qualsiasi. Questi tre anni da spalla di Sky, all’inizio contraddistinti da enormi difficoltà e proteste, poi tutto sommato indolori, sono serviti da apprendistato, per abituare i consumatori, ammorbidire i presidenti, fare le scarpe agli ex amici di Comcast che tutto si aspettavano tranne che un ribaltone del genere.

Dazn poi non è una novità anche perché esiste da anni. È stata lanciata per la prima volta come servizio streaming nell’agosto 2016 in Germania, Svizzera, Austria e Giappone, nel 2018 è sbarcata in USA e Italia e da allora è stato un crescendo. Nel 2021 compirà già 5 anni, l’età giusta per la maturazione. Ma Dazn esisteva ancora prima. Era una delle tante società che componevano Perform, gruppo che guadagnava la maggior parte dei suoi soldi dalla raccolta e vendita di dati analitici a squadre sportive e siti di scommesse. Dal 2014 è di proprietà di Len Blavatnik (tramite la società Access Industries), natali a Odessa (oggi Ucraina) nel 1957, patrimonio sconfinato che proviene dalle ceneri dell’Unione Sovietica e residenza americana. Questo magnate dell’alluminio è il volto che non compare dietro l’ascesa di Dazn: il sogno è costruire una specie di Netflix dello sport, concepibile solo grazie alla sua straordinaria ricchezza personale, che supera i 20 miliardi di dollari. Nessuno ha mai avuto il dubbio che Dazn pagasse. E pagare è il primo requisito di chi vuole comprarsi la fiducia dei padroni del pallone.

La storia insomma si può riassumere così. Una piccola costola di un grande gruppo specializzato nel match-analyst, decide di buttarsi sui diritti tv, per diversificare e poi proprio convertire il suo business. Tanto che il ramo d’azienda dedicato ai match data è stato prima spacchettato e poi ceduto, lasciando Dazn al centro degli affari. All’inizio pareva una scommessa persa. Nel 2018 Dazn ha registrato una perdita in bilancio di circa 600 milioni di euro. Nel 2019, sulla spinta dei diritti tv e di un plafond di 8 milioni di abbonati globali, ha notevolmente alzato i ricavi (fino a oltre 850 milioni), ma sono aumentate anche le perdite (1,4 miliardi). E poi il Covid ha fatto il resto, visto che almeno in Italia l’epidemia e lo stop al campionato hanno fatto scappare gli abbonati (la flessibilità di disdetta è uno dei marchi di fabbrica Dazn), e ci sono voluti mesi per tornare ai livelli pre-lockdown.

Come è potuto succedere allora che una società senza tradizione e in un momento nemmeno troppo roseo, abbia investito una cifra pari praticamente al suo intero fatturato globale per comprarsi la Serie A italiana? La risposta è semplice: grazie alla solidità del suo proprietario Blavatnik, i piani ambiziosi del Ceo Rushton che nei diritti tv vede il futuro, e una congiuntura favorevole. L’alleanza con Tim, che ha deciso di puntare sul pallone per convertire il Paese alla fibra (solo il calcio può riuscirci) e al contempo stroncare un potenziale rivale come Sky (che intanto aveva iniziato pericolosamente a buttarsi sulla telefonia).

Dopo i primi anni quasi da start-up, investimenti ingenti non ancora ripagati, Dazn poteva ritirarsi o rilanciare. Ha scelto la seconda, in grande stile, e magari in futuro si quoterà pure in Borsa. Così, pur rimanendo in Italia un’entità un po’ inafferrabile (non si conoscono fatturato della divisione italiana, business plan e nemmeno abbonati precisi: i big match raggiungono ormai picchi di 2 milioni di spettatori ma lo strano accordo commerciale con Sky sballa tutte le stime), proprio grazie all’Italia Dazn si afferma con prepotenza nel mercato dei diritti tv. Ormai trasmette in oltre 200 Paesi nel mondo. Negli Usa la boxe, in Europa il grande calcio, la Champions League in Germania, appunto la nostra Serie A. Oggi Dazn è una realtà. Se di successo, lo dirà il tempo. Ma a questo punto dovremo proprio imparare a conoscerla. Non potremo farne a meno, per vedere il campionato.

Twitter: @lVendemiale