Diritti

L’aggressione omofobica a Valle Aurelia è il risultato di una narrazione tossica sulle persone Lgbt

L’aggressione omofobica avvenuta a Valle Aurelia, a Roma, non può essere ridotta a semplice violenza. E nemmeno a bug di sistema. È, invece, essa stessa sistema. L’atto in sé, è ovvio, è criminale e come tale va trattato. Un uomo si è sentito autorizzato a picchiarne altri due solo perché condividevano un momento di tenerezza. Per di più attraversando i binari della metro, a piedi, e mettendo in pericolo la sua stessa incolumità. La ragione, riconoscibile, è l’omofobia. Nel caso specifico, essa è addirittura più forte del principio di autoconservazione: e ciò dovrebbe interrogare molti eterosessuali – maschi, in primis – sulla bontà implicita di certi dispositivi di “protezione” di una mascolinità in crisi. Ma questa è, appunto, la punta dell’iceberg. Cosa c’è sotto? Vediamo alcune dinamiche interne.

Quell’aggressione è l’atto concreto di una serie di narrazioni tossiche sulle persone Lgbt+. Ciò che ha mosso l’aggressore, appunto, è l’avallo implicito al suo gesto conseguente a un certo modo di raccontare l’omosessualità. Prima tra tutte: l’accostamento al peccato. Anche a causa di una Chiesa che benedice persino armi, cavalli e trattori, ma ha seri problemi ad accettare le coppie dello stesso sesso – e ce ne faremo una ragione, perché non abbiamo bisogno dell’acqua santa per dare dignità alle nostre relazioni – questa narrazione fornisce una giustificazione formidabile al disprezzo e alle motivazioni. Da lì, nelle menti più “semplici”, il passo alla violenza può essere breve.

Eppure la Chiesa ha già superato i divieti presenti sul Levitico per cui è abominio mangiare gamberetti e scampi. La Bibbia, dove ritroviamo la condanna del “vizio contro natura”, a ben vedere poi è lo stesso libro in cui Lot, per scongiurare che i suoi ospiti finiscano nelle mani dei sodomiti, offre in cambio le sue figlie per uno stupro di gruppo. Se i credenti riescono ad accettare questo a tal punto da ammetterlo in un libro ritenuto sacro, a maggior ragione dovrebbero accettare – pur non condividendole – le libere scelte altrui. E attenzione, nessuno pretende benedizioni o matrimoni all’altare. Basterebbe una sana indifferenza. E il rispetto. È anche una questione di evoluzione sociale.

La narrazione dell’omosessualità come peccato è solo uno degli ingredienti che stanno alla base del disprezzo delle persone Lgbt+. Accanto a essa, abbiamo tutta una serie di automatismi linguistici. Quelli per cui vanno bene i gay “purché non ostentino”. E purché “certe cose le facciano a casa solo”. Affermazioni siffatte toccano la sfera della visibilità e, di conseguenza, delle libertà personali. Per l’aggressore, i due erano evidentemente colpevoli di ostentazioni. Li invita alla vergogna, poi passa alle mani. Tali automatismi mandano a dire alle persone omosessuali: tu non hai diritto ad essere. E non solo lì e in quel momento, ma praticamente ovunque e in ogni istante. Non hai diritto ad essere qui ed ora, in pratica. In qualsiasi qui ed ora. E quindi, non hai diritto ad esistere.

Sì, perché l’aggressione alla metro di Valle Aurelia potrebbe verificarsi ovunque e in qualsiasi momento. Ma, attenzione, non a chiunque. Non esistono coppie di fidanzati eterosessuali picchiate in ragione del loro orientamento. Ciò accade, invece, a una fetta specifica di popolazione: quella che rientra nella sigla Lgbt+. Non si tratta, dicevo in apertura, di violenza e basta. È una forma di controllo sociale. Uno stupro della psiche, che rinnova la sua violenza ogni qual volta ci si tiene per mano. Ogni qual volta lasciamo vincere la tenerezza. Perché la paura è sempre lì, dietro l’angolo. C’è sempre, infatti, lo spettro di un insulto o di un pugno. In un rumore improvviso o accanto un’ombra che si muove, non prevista.

Per questo la reazione a questo tipo di atti non può ritrovarsi nella normativa ordinaria. Per questo l’aggravante di omotransfobia, in casi siffatti, è una priorità. La legge Zan interviene anche su questo livello. La violenza contro noi persone Lgbt+ è un sottofondo sempre presente nella coscienza. Una legge di tutela non è solo un modo per far giustizia. È un risarcimento morale che la società ci deve. Qualsiasi passo contrario rispetto a tale direzione è un avallo a quel losco individuo, ai suoi insulti e alla sua violenza fisica. Bisogna decidere, insomma, da che parte stare. Per me la cosa è più che cristallina.