Economia

Il business del vaccino, quanto ci guadagnano le case farmaceutiche. Il caso Astrazeneca: ecco perché non ha perso in borsa

Le stime sono aleatorie e influenzate da fattori imprevedibili ma una campagna vaccinale che copra l'intera popolazione mondiale vale fino a 100 miliardi di dollari l'anno. Cifre imponenti ma non tali da condizionare i destini dei colossi della farmaceutica. La partita su brevetti e licenze e l'ingresso sul mercato di nuovi produttori potrebbe cambiare l'entità dei ricavi

A spanne il conto è presto fatto. Quasi 8 miliardi gli abitanti del pianeta. Se davvero tutti dovessero ricevere una o due (o tre) dosi di vaccino le fiale da inoculare sarebbero circa 16 miliardi. Per ora però nessun prodotto è autorizzato per l’uso sotto i 15 anni e il prezzo della dose è un’incognita. Si va dai pochi dollari del farmaco Astrazeneca, ai 15-20 dollari dei vaccini più “pregiati” di Pfizer-BioNtech o Moderna. Con una precisazione importante, più che dalla qualità del prodotto il prezzo è influenzato da strategie aziendali e precedenti accordi con stati ed istituzioni. Tant’è che in Africa il prezzo delle fiale Astrazeneca pare stia lievitando oltre i 10 dollari. Sta di fatto che in gioco c’è un business che oscilla tra i 50 e i 100 miliardi di dollari l’anno. Le somministrazioni non si esauriranno infatti nel 2021/2022. Il proliferare di varianti rende probabile la necessità di richiami periodici che renderanno il vaccino Covid qualcosa di abbastanza simile a quello influenzale.

Il piatto è ricco ma non tutti si stiano arricchendo. Pfizer ha messo a bilancio per il 2021 ricavi aggiuntivi per 15 miliardi di dollari per la vendita del suo vaccino. Astrazeneca al momento non fornisce cifre e tutte le sue indicazioni su ricavi e utili futuri non tengono conto del vaccino. Questo spiega anche perché le notizie sulla temporanea sospensione del farmaco non abbiano provocato nessun particolare sussulto al titolo della società, quotata sulla borsa di Londra. Al momento, e finché la pandemia sarà in corso, la casa farmaceutica non intende realizzare profitti sul vaccino, sviluppato insieme all’università di Oxford e anche grazie ad ingenti finanziamenti pubblici. La statunitense Moderna ha già in tasca contratti per 12 miliardi di dollari per la fornitura di 520 milioni di dosi del vaccino nel 2021. La società ha chiaramente detto di non avere intenzione di rinunciare ai profitti sul prodotto. Ha formalmente messo a disposizione il suo brevetto ma nella sostanza cambia poco. Per produrre il vaccino Moderna servono stabilimenti avanzati ed investimenti importanti mentre Moderna può ritirare il permesso di produrre quando decide a sua discrezione che la fase pandemica è terminata.

Man mano che nuovi produttori si affacciano sul mercato (a breve il colosso Johnson & Johnson, mancano all’appello i big Merck e Sanofi) l’offerta di fiale è destinata ad aumentare e i prezzi, in teoria, a scendere. Quindi i margini di guadagno dovrebbero gradualmente assottigliarsi. Il giro d’affari del vaccino è imponente ma se suddiviso tra le principali multinazionali farmaceutiche, con fatturati che vanno dai 50 miliardi di dollari in su, non è in grado di condizionarne i destini. Specie quando gli incassi sono controbilanciati dalla riduzione delle vendite di farmaci per altre patologie, come sta avvenendo a causa della pandemia. Tant’è che le azioni dei colossi non sono volate. Ad andare in orbita sono stati solo i titoli delle “piccole” biotech che hanno effettivamente creato i vaccini per conto dei big, come BioNtech, Novavax, Curevac etc.

C’è poi la possibilità di un’azione più decisa da parte dei governi nei confronti delle case farmaceutiche. La scorsa settimana l’Organizzazione mondiale del commercio ha respinto la richiesta di una liberalizzazione dei brevetti come chiesto da India e Sud Africa in rappresentanza di decine di paesi. Hanno votato contro tutti i paesi più ricchi, Italia compresa, oltre al Brasile. A favore si sono espressi tutti i paesi africani, gran parte di quelli asiatici (Cina inclusa), la Turchia, buona parte dei paesi dell’America latina compresi Argentina e Cuba.

Un atteggiamento più “muscolare” nei confronti delle case farmaceutiche non è comunque da escludere, magari sotto forma di obblighi di cessione delle licenze dietro pagamento, facendo anche leva sui cospicui fondi pubblici che sono stati forniti alle aziende per lo sviluppo del prodotto. Qualcosa i top manager lo hanno forse annusato. Non è un caso che non abbiano perso tempo nel passare all’incasso. Il primo è stato il numero uno di Pfizer Albert Bourla che lo scorso novembre ha incassato 5,6 milioni di dollari vendendo il 60% delle sue azioni. L’amministratore delegato di Moderna Stéphane Bancel ha a sua volta venduto titoli per quasi 100 milioni di dollari.