Televisione

Il successo di Carlo Conti sta nella sua superficialità (in senso buono, però)

Il tempo passa, passa per tutti, anche per chi ha trasformato gli anni, o meglio i decenni, in un format e ha inventato una formula magica per godere sempre la propria giovinezza: noi che… Anche per Carlo Conti che oggi compie 60 anni: auguri!

Per questo personaggio, o meglio non personaggio nella sua normalità, per spiegare il successo duraturo, trasversale di una figura senza segni particolari, senza forti caratteri si è rispolverata la teoria che Umberto Eco aveva cucito attorno a Mike Bongiorno, la famosa “fenomenologia di Mike Bongiorno”. L’ipotesi del passaggio, in epoca televisiva, dal superman al supereveryman, del divo che risplende per le sue doti eccezionali, come accadeva a Kirk Douglas e Joséphine Backer, alla figura ordinaria che rivela i suoi limiti, sviluppando negli spettatori una dimensione consolatoria di identificazione, è una lettura che spesso è stata ripresa e aggiornata per Conti. A me pare che sia una lettura parziale che merita qualche approfondimento.

E’ vero che Conti ha interpretato perfettamente quest’ultima epoca della televisione in cui la normalizzazione è stato la scelta prevalente, in cui all’originalità, all’inventiva, alla fantasia si è preferito il ricorso alla ripetizione, alla sicurezza dell’usato, qualche volta usatissimo, come nel caso della Corrida. Eppure senza dimenticare ciò che di modesto c’è nella miriade di programmi firmati da Conti (oltre all’imbarazzante Corrida, personalmente ho sempre trovato un po’ noioso Tale e quale), nella sua carriera ci sono anche un paio di capolavori, televisivamente parlando si intende.

Il primo è il contributo fondamentale al successo di L’eredità, uno dei più bei programmi della tv italiana del nuovo secolo. Anche se all’origine c’è l’intuizione di Amadeus e i conduttori delle ultime edizioni, Frizzi e Insinna, hanno un po’ oscurato Carlo Conti, grazie alla loro maggiore originalità, a lui bisogna riconoscere il merito di aver condotto il programma alla consacrazione, al ruolo dell’appuntamento fisso, atteso, seguito e partecipato attivamente da milioni di italiani (Umberto Eco compreso). Il secondo è stato il festival di Sanremo che non solo ha condotto sempre con successo, ma nel quale ha osato sfidare e vincere la maledizione della seconda volta. Prima di lui nessun conduttore, neanche i più bravi, erano riusciti a replicate il successo della loro prima conduzione. Conti addirittura è arrivato alla terza, il famoso Conti ter non riuscito, in altro campo, al suo quasi omonimo.

A parte gli scherzi credo che la vera cifra di Conti non sia la normalità ma la superficialità, nel senso positivo della parola, la superficialità come prova di abilità del surfista che sta in piedi su tutte le onde senza assaggiarne la profondità, senza farsi mai sommergere. Cedo anche che questa abilità, questo senso di sicurezza che manifesta e trasmette sia proprio di una generazione che ha fatto la sua gavetta e la sua formazione nell’universo avventuroso, frammentario, effimero delle radio libere, di quel gruppo di giovani rampanti che il bel titolo di un bel libro ha definito “il mucchio selvaggio”. Questo è il vero, incancellabile “noi che” di Conti; ancora auguri!