Politica

Governo Draghi, in un clima di decadenza civile speriamo nella buona fede

“Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore” scriveva quaranta anni fa Ennio Flaiano, il grande dissacratore dei costumi e dell’ipocrisia nazionale. E così non deve stupire che media, politica e cittadinanza abbiano acclamato l’ex banchiere Mario Draghi come novello salvatore del Paese.

La lista degli uomini forti al comando nella Storia nazionale è lunga, solo per citare gli ultimi in ordine cronologico: Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Tutti esaltati inizialmente come padri della patria, e finiti poi in un susseguo di vicissitudini impietose a mostrare un volto drammatico e per certi versi farsesco. Come accaduto per i suoi predecessori, anche le aspettative riposte in Draghi sono molto alte. Molti sono convinti che l’uomo sia abituato a badare al sodo e che il premier sia l’unico capace di portare a termine il suo mandato di mettere ordine ai conti e gestire i miliardi concessi dall’Europa per rimettere in marcia il paese.

Cosa significhi rimettere in marcia l’Italia non è però chiaro e probabilmente lo stesso Presidente Sergio Mattarella, sempre prodigo in discorsi dall’alto contenuto morale, non deve essere stato troppo esplicito nell’affidare l’incarico al nuovo premier. La nomina dei ministri e dei sottosegretari che formano la “squadra dei migliori” per guidare la nazione ha messo sotto gli occhi di tutti che quello che importa per Draghi non sono i messaggi che vengono veicolati attraverso le decisioni, ma il controllo del potere.

Certamente richiamare in servizio ex ministri fallimentari o chiacchierati – come Mara Carfagna, Mariastella Gelmini o Renato Brunetta o sottosegretari impreparati come Lucia Borgonzoni o Rossano Sasso o peggio ancora, in palese conflitto di interesse, come Francesco Paolo Sisto, avvocato di Berlusconi al processo Ruby – potrebbe essere interpretato come un pragmatico atto di scambio: un do ut des che come patto tacito presuppone il “io vi do qualche soddisfazione e voi mi lasciate lavorare”.

Il coro dei sostenitori del nuovo premier sembra avere fatto propria questa versione dei fatti. Le nomine sono vendute alla massa così, al massimo come una sorta di peccato veniale che Draghi è stato costretto a compiere per il bene della patria. L’etica weberiana delle responsabilità è probabilmente opportuno sia anteposta all’etica delle intenzioni nelle situazioni di grande emergenza. Ma forse qualche domanda il neo premier e il Presidente della Repubblica potrebbero porsela dopo quello che è successo negli ultimi giorni.

Secondo loro nominare per esempio un’assenteista che dichiara di non avere letto un libro negli ultimi tre anni come sottosegretaria alla Cultura che impatto può avere sulle nuove generazioni? Oppure: che fiducia si può alimentare sulle persone oneste affidando all’avvocato di un pregiudicato il compito di affiancare il ministro della Giustizia? O ancora, cosa possono pensare gli studenti universitari che dovrebbero prendere in mano le redini della nazione nei prossimi anni della nomina dell’onorevole Gelmini che, durante il suo precedente mandato, è stata giudicata unanimemente il peggiore ministro dell’Istruzione della Storia italiana?

Sono queste solo questioni sussidiarie e marginali oppure atti che hanno conseguenze sostanziali sulla mobilitazione delle forze umane e sociali indispensabili a fare riemergere il Paese dalla lunga crisi in cui è caduto?

Le scienze economiche, politiche e sociali sono concordi nell’idea che lo sviluppo e la ripresa in ogni nazione si basino non solo sull’abilità di gestire un bilancio, ma anche sulla capacità di generare fiducia per un impegno civile, economico e sociale quotidiano. Che significa poi molto concretamente, per un giovane: studiare, dedicarsi al lavoro, restare una volta formato nel suo paese per dedicare le sue energie e le sue competenze per migliorarne l’economia, la società, l’istruzione. Per un imprenditore: avere certezza che le leggi di mercato siano eguali per tutti e che un investimento realizzato con rigore e visione abbia concrete possibilità di essere ripagato. Per un cittadino normale: sapere che tenere un comportamento onesto è una questione di dignità e di riconoscimento sociale che vale la pena di essere messo in atto ogni giorno.

Oggi in Italia l’emergenza nazionale è sicuramente economica, ma prima ancora e molto più profondamente morale e sociale. A salire la scala gerarchica sono sempre gli stessi, amici degli amici, parenti dei parenti, figli di presidenti e onorevoli. Le professioni più prestigiose passano di mano in mano come rendita da padre a figlio. L’impegno è considerato un disvalore o una propensione da sfruttare. I conti correnti tracimano di denari anche dove sembra che povertà e disoccupazione siano dilaganti, chi non è corrotto o non si fa corrompere è guardato con sospetto o con commiserazione, l’evasione fiscale è sport nazionale preferito insieme alla lettura della Gazzetta dello Sport e alla visione del Grande Fratello.

In questo clima plumbeo di decadenza civile dilagante l’unica luce sarebbe una nuova azione di governo basata sul richiamo forte ai principi costituzionali, al valore dell’onestà, della solidarietà, della preparazione e dello studio, dell’impegno a una crescita economica e sociale basate sulla trasparenza e le pari opportunità. Non vedere questi problemi o peggio giudicarli secondari rispetto al controllo della spesa e delle risorse del Recovery Fund è qualcosa che sa purtroppo di macilento, e già troppe volte visto.

Forse si tratta di una sottovalutazione di chi è abituato a pensare che sono solo i quattrini a garantire lo sviluppo. Speriamo sia almeno così e che nelle decisioni del premier Draghi ci sia buona fede. Perché altrimenti tornano in mente le parole di George Orwell, 1984, quando scriveva che ciò di cui sono convinti i potenti è che ciò che le masse pensano o non pensano deve incontrare la massima indifferenza: “A loro può essere garantita la libertà intellettuale proprio perché non hanno intelletto”.