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Coronavirus, le ispezioni sul patrimonio dati dell’Istituto di Virologia di Wuhan. Ecco come nasce il laboratorio cinese sugli agenti patogeni

Il team di esperti dell'Oms, che ha concluso la sua missione in Cina per indagare sull'origine della pandemia, ha visitato anche l'istituto, che ospita il più importante repertorio globale di dati sui coronavirus presenti nei chirotteri. Finanziato da Pechino, Usa, Fondazione Bill Gates e persino dall'Unione europea, esiste nella sua forma attuale dal gennaio 2018, quando fu allestito il laboratorio destinato a condurre ricerche sugli agenti patogeni altamente trasmissibili e potenzialmente mortali noti come P4

È al centro dell’attenzione sin dall’inizio della pandemia, quando hanno iniziato a circolare ipotesi – spinte anche dall’ex presidente americano Donald Trump – secondo cui il virus, più o meno volontariamente, sarebbe fuoriuscito proprio da lì. E da lì si sarebbe diffuso in tutto il mondo. L’Istituto di Virologia di Wuhan visitato nei giorni scorsi dal team di esperti dell’Organizzazione mondiale della Sanità che ha concluso la sua missione sulle origini di Sars-Cov-2 – è stato creato nel 1956 come centro di ricerca microbiologica rivolta soprattutto all’agricoltura, ma esiste nella sua forma attuale dal gennaio 2018, quando fu allestito il laboratorio destinato a condurre ricerche sugli agenti patogeni altamente trasmissibili e potenzialmente mortali noti come P4. Nel settembre 2017, il network cinese Yicai presentava il futuro centro di ricerca come “il primo laboratorio cinese con livello di biosicurezza IV (P4)” che “consentirà all’accademia delle Scienze Sociali di Wuhan di studiare patogeni virulenti, o rischi biologici di altissimo livello. Esempi di questi includono Ebola, febbre di Lassa e virus di Marburg”.

Oggi il laboratorio ospita il più importante repertorio globale di dati sui coronavirus presenti nei pipistrelli, grazie soprattutto al lavoro della virologa Shi Zhengli, conosciuta ormai da molti come “bat-woman” per i suoi 17 anni trascorsi nelle grotte del sud della Cina (Guangdong, Guangxi, Yunnan soprattutto) alla ricerca di nuovi virus che si nascondono nell’organismo dei chirotteri. Secondo la dottoressa Shi – che è direttrice del Centro per le Malattie Infettive Emergenti all’interno dell’Istituto – sarebbero oltre 5mila i coronavirus presenti nei pipistrelli.

Nel 2020, la ricerca del laboratorio si è ovviamente concentrata sul coronavirus più che su altre malattie infettive, ma al momento non è chiaro se siano stati raggiunti risultati inediti. Shi Zhengli continua ad affermare che tutte le scoperte fatte a Wuhan vengono poi rese pubbliche su paper internazionali e in teoria il team dell’Oms che sta visitando in questi giorni la Cina dovrebbe appurare se c’è altro.

La ricerca che si incentra sul laboratorio di Wuhan era percepita come urgente, dalle autorità cinesi, dopo l’epidemia di Sars del 2003. Per sopperire al deficit di competenze locali, la Cina si era ai tempi rivolta alla Francia, con cui nel 2004 aveva firmato un accordo per creare nella città della Cina centrale una struttura da 300 milioni di yuan (38 milioni di euro al cambio odierno), modellata sul laboratorio P4 Jean Mérieux-Inserm di Lione, dove nel 2014 sarà poi identificato per la prima volta il virus dell’Ebola. La formazione dei futuri ricercatori era stata invece a carico del Galveston National Laboratory presso l’Università del Texas, che aveva anche ospitato due post-dottorandi cinesi per la formazione specifica di un anno sulla sicurezza.

Le regole – Da quanto si apprende da diversi articoli pubblicati nei mesi scorsi, tra i requisiti di sicurezza del laboratorio P4 c’è l’obbligo, per i ricercatori, di indossare tute a pressione positiva – le “tute spaziali”, per intenderci – e di lavorare per turni di quattro-sei ore senza pause per bisogni fisiologici o pasti. Un articolo sulla sicurezza comparso sul sito dell’istituto nel 2019 riportava anche che gli addetti devono sottoporsi a una procedura di disinfezione chimica che richiede mezz’ora sia per entrare che per uscire dal laboratorio, mentre l’allora capo-progetto del laboratorio, Song Donglin, dichiarava nel 2018 che era stato installato un sistema di trattamento delle acque reflue e di pronto intervento sanitario al piano terra dell’edificio che ospita il laboratorio.

Dalla Fondazione Gates al governo cinese: i fondi – Le fonti di finanziamento dell’Istituto sono varie. Oltre alle risorse del governo cinese, veicolate attraverso l’Accademia delle Scienze, si segnala un finanziamento di 499.944 dollari da parte della Fondazione Gates nel novembre 2018, mentre enormi polemiche ha suscitato negli Usa la rivelazione di Newsweek, secondo cui il National Institutes of Health – cioè il governo – avrebbe finanziato l’Istituto di Wuhan in due fasi; dal 2014 al 2019 (3,7 milioni di dollari), per un progetto di raccolta e studio dei coronavirus presenti nei pipistrelli; dopo il 2019 (altri 3,7 milioni), per il seguito della ricerca, cioè lo studio di come tali virus possano infettare un altro “animale” (il famoso spillover da una specie all’altra). Sono tutti studi guidati da Shi Zhengli e i finanziamenti statunitensi attraversano le amministrazioni di Obama e Trump; Mike Pompeo li ha giustificati l’anno scorso con la necessità, per gli Usa, di “esternalizzare ricerche pericolose”.

In risposta a un’interrogazione al Parlamento di Bruxelles dello scorso ottobre, la Commissione Europea ha dichiarato di aver concesso finanziamenti all’Istituto di virologia di Wuhan nel 2015 per 73.375 e nel 2019 per 87.436 euro, nell’ambito del programma Orizzonte 2020 di promozione della ricerca. Altri 88.433 euro sono stati concessi all’Istituto per un progetto di monitoraggio dell’insorgenza di epidemie in cui sono stati finanziati altri 33 laboratori internazionali e che è stato avviato il 1 gennaio 2020.

L’Istituto è stato al centro delle polemiche fin dall’inizio dell’epidemia per il semplice fatto che si trova a Wuhan, il primo luogo dove si è manifestato il coronavirus nella sua forma grave.

Le speculazioni – Gran parte della comunità scientifica internazionale rifiuta l’idea che il SARS-CoV-2 possa essere uscito da una provetta, ma qualcuno ha ipotizzato che un virus catturato in natura e trasferito in laboratorio per fare degli esperimenti possa essere poi fuoriuscito tramite un membro del personale infetto. La versione nazional-popolare di tale teoria è quella secondo cui qualche ricercatore desideroso di arrotondare il proprio salario abbia rivenduto al mercato di animali vivi di Wuhan qualche cavia da “rottamare”.

Scienziati internazionali che avevano partecipato all’allestimento del laboratorio P4, all’addestramento del suo staff e hanno continuato a collaborare con Shi Zhengli, hanno immediatamente bollato come bufala la teoria complottista. Tra questi, ci sono James Le Duc, direttore del Galveston National Laboratory presso l’Università del Texas – che nel 2017 aveva soggiornato all’istituto – e soprattutto Peter Daszak, presidente della newyorkese EcoHealth Alliance, che collabora con Wuhan nelle ricerche sui pipistrelli. Daszak fin dallo scorso aprile ha difeso Shi Zhengli, in un tweet: “Virologa di livello mondiale, la prima a identificare l’origine del Sars-CoV-2 e persona meravigliosa e generosa. Dovrebbe essere lodata come eroe, non denigrata”. Il ricercatore aveva anche osservato in un’intervista a Vox che da un milione a sette milioni di persone tra Cina meridionale e Sudest asiatico vengono infettate ogni anno da coronavirus presenti nei pipistrelli; illogico quindi che il virus possa provenire da una “mezza dozzina” di ricercatori del laboratorio P4.

Daszak è oggi membro del team Oms che ha visistato Wuhan e per questo è stato accusato da alcune fonti occidentali di essere troppo pro-Cina.