Mondo

I due volti di Erdogan: parla di pace mentre viola i trattati internazionali. Grecia ed Egitto puntano al riarmo

Il presidente turco non accetta le delimitazioni marittime nel Mediterraneo orientale che gli precludono lo sfruttamento del gas ma a parole dice di ricucire con Usa, Europa e Atene. Che nel frattempo rimpolpa il suo arsenale bellico

A parole il presidente turco Recep Tayyip Erdogan prova a ricucire con Grecia, Ue e Usa, ma nei fatti prosegue nella sua condotta contraria ai trattati internazionali e alle norme Onu. “Nel Mediterraneo serve cooperazione, non devono escluderci”, dice da un lato a Bruxelles con anche l’obiettivo di uscire dall’angolo delle sanzioni Usa per i missili S-400 acquistati dalla Russia. Ma dall’altro non fa marcia indietro per il gas a Cipro e a Kastellorizo, l’isola greca dove Salvatores girò il suo Mediterraneo, innescando un’escalation che sta portando al riarmo di alcuni paesi, come Grecia ed Egitto.

Che cosa rischiano Grecia e Turchia dalla crisi diplomatica e militare articolata sul dossier energetico? Perché Ankara continua a contestare i trattati internazionali? Come è noto, il presidente turco non accetta le delimitazioni marittime nel Mediterraneo orientale che gli precludono lo sfruttamento del gas, copioso, presente in quelle acque e sul quale si è strutturata una nuova e ampia partnership tra Grecia, Cipro, Israele ed Egitto grazie al progetto del gasdotto Eastmed che porterà il gas fino in Salento. L’ultimo attacco firmato da Erdogan è dell’11 gennaio, nelle stesse ore in cui lanciava un ramoscello di ulivo ai paesi dell’Ue e ad Atene. “La Grecia – ha detto – ha utilizzato un’opzione internazionale come Navtex (l’annuncio di restrizione alla navigazione) per aumentare le tensioni“.

Il nodo del contendere è l’estensione delle acque greche nelle 12 miglia votato dal Parlamento ellenico: un passaggio burocratico che però cela il pomo della discordia relativo alle acque sotto le quali c’è il gas tanto prezioso per Ankara, visto che l’economia turca continua a mostrare gravi difficoltà. Erdogan veste i panni del giano bifronte e affida alle agenzie interne un altro messaggio distensivo: dice che i colloqui esplorativi della Turchia con la Grecia “potrebbero inaugurare una nuova era” e di essere pronto a “rimettere in carreggiata” le relazioni del suo paese con l’Unione europea. Ma al contempo rifiuta i “tentativi di rinchiudere la Turchia nelle sue coste con mappe massimaliste che non hanno validità.”

Quelle mappe invece hanno invece la piena validità, data loro dai trattati internazionali come quello di Montego Bay e l’approvazione dell’Onu. Il Palazzo di vetro, in occasione della recente plenaria dell’Assemblea Generale, ha adottato la decisione annuale sugli Oceani e il Diritto del Mare. Nella votazione richiesta dalla Turchia 152 paesi hanno votato a favore della relazione, mentre 4 (Colombia, Madagascar, Nigeria e Venezuela) si sono astenuti. L’unico paese che ha votato contro è stato appunto la Turchia.

Inoltre all’annuncio di Erdogan di un possibile tavolo diplomatico aperto con Atene, ha replicato il Ministero degli Esteri greco, secondo cui nessun incontro tra i ministri degli Esteri di Grecia e Turchia, rispettivamente Nikos Dendias e Mevlut Cavusoglu è stato “pianificato o concordato” per il 25 gennaio. Il ministro degli Esteri greco, pur intrattenendo da anni un rapporto amichevole con il suo omologo turco, “non è ha programmato né concordato un incontro”.

Le pressioni su Ankara investono anche le policies della nuova amministrazione americana. Al netto degli effetti sull’intera area africana degli accordi Abramo, che toccano anche il Marocco, la Turchia non sa ancora come si distenderà la nuova strategia della Casa Bianca nel Mediterraneo dopo il progressivo disimpegno nel mare nostrum che ha caratterizzato la presidenza Trump. Erdogan teme di non potere avere più quella libertà di movimento che, ad esempio, gli ha consentito di continuare a scagliarsi contro i curdi nel quadrante siriano e di scalare posizioni in Libia, prendendo il posto dell’Italia. Anche per questa ragione punta molto sul rafforzamento della sua difesa, come dimostra l’uso massiccio dei droni made in Turkey nel Nagorno Karabakh.

La difesa, dunque, è il terzo elemento che sta caratterizzando l’intero scenario con una vera e propria corsa al riarmo. La Grecia ha acquistato 18 caccia Rafale dalla Francia per 3 miliardi di dollari, ma chiedendo che i primi sei giungano nell’Egeo già entro maggio. Per questa ragione è in arrivo ad Atene la ministra della difesa francese Florence Parly: dopo i Rafale, Parigi vorrebbe vendere alla Grecia anche 2 fregate Fremm. Se saranno proposte nella modalità antisommergibile allora il governo ellenico dirà sì. Contrariamente si potrà valutare quattro Belh@rra, mentre resta intatta l’opzione americana, che non dovrebbe comprendere il cacciatorpediniere Arleigh Burke.

Sullo sfondo anche la possibilità che alcuni F-35 non venduti alla Turchia dagli Usa finiscano in Grecia, dove l’alleanza con Israele si fortifica ulteriormente: un accordo ventennale da 1,68 miliardi di dollari tra Grecia e Israele porterà alla creazione di una Air Force School per l’aviazione militare greca.

twitter @FDepalo