Calcio

Psg-Basaksehir, ‘quel ragazzo nero’ ora pretende dignità e non speculazioni

Uno scritto, per essere fruibile da più persone possibile (ovvero per centrare il suo obiettivo di divulgazione, a meno che non sia uno scritto accademico e quindi autoreferenziale) deve avere necessariamente dei rimandi al mondo della letteratura, del cinema o della cultura pop in generale. Rende lo scritto meno serioso anche se parli di cose serie e distribuisce al lettore dei punti di riferimento ai quali può aggrapparsi schematicamente durante la comprensione del testo. È così, non facciamo noi le regole, ma a questo giro facciamo fatica non a trovare questi rimandi, ma a sceglierne una quantità consona al numero di battute imposte dalla Grande Regola Madre, ovvero quella che dice che se scrivi un pippone non ti legge nessuno. Le prime cose che ci sono venute in mente, ad esempio, sono Teoria del partigiano di Carl Schmitt, Palombella Rossa di Nanni Moretti e Alien di Ridley Scott. Però forse è meglio fare il punto della situazione su cosa è successo ieri sera a Parigi.

I calciatori di PSG e Basaksehir, dopo che il quarto uomo – il rumeno Sebastian Coltescu – indica all’arbitro il vice allenatore della squadra turca – il camerunense Pierre Webo – con la frase “tipul acesta negru”, abbandonano il campo in segno di protesta. La frase in rumeno si può tradurre con “quel ragazzo nero”, dove “negru” indica il colore della pelle e non ha nessuna accezione dispregiativa. Il problema, sollevato immediatamente e in maniera energica dall’attaccante Demba Ba, non era l’intento offensivo del quarto uomo, ma “perché quando ti rivolgi ai ragazzi bianchi usi solo il termine “ragazzi” e quando ti rivolgi ai ragazzi di colore usi il termine “ragazzi neri”?” Inoltre, aggiungiamo noi e probabilmente se fosse ancora vivo si chiederebbe anche Frantz Fanon, perché un uomo di quasi 40 anni viene chiamato “ragazzo”, in un’eterna fanciullezza della pelle nera, quel “metà diavolo metà bambino” che rimanda al fardello dell’uomo bianco di Rudyard Kipling?

Le squadre – compatte, con il PSG che ha mostrato subito solidarietà ai colleghi turchi – si sono rifiutate di tornare in campo ed è stato deciso che la partita sarebbe ripresa il giorno dopo, con un quarto uomo diverso. È qui che ci viene in mente Palombella Rossa, con l’unica domanda legittima che rimane quella che si faceva anche Nanni Moretti, lui però di fronte all’espressione “kitsch”: “Ragazzo nero”, signor Sebastian Coltescu? Ma dove le andate a prendere queste espressioni? Ma come parla? Le parole sono importanti. Sono importanti soprattutto in un contesto come quello del torneo di calcio per club più conosciuto e seguito al mondo, in un contesto dove le figure come Coltescu sono preparate adeguatamente attraverso corsi di sensibilizzazione e comportamento, dove un vice allenatore non può essere assolutamente chiamato “ragazzo nero” ma Signor Webo, o dove perlomeno hai una padronanza dell’inglese sufficiente per esprimerti senza sembrare un troglodita. L’intento offensivo o meno del Signor Coltescu non ha la minima importanza in questa faccenda, dove tutto gira intorno alla sua inadeguatezza in un mondo che sta provando a diventare un posto di pari dignità per tutti i suoi abitanti.

Alien di Ridley Scott ci è venuto in mente perché, effettivamente, “escono dalle fottute pareti”. Nemmeno il tempo di elaborare un pensiero sensato sull’atteggiamento di Coltescu e guardare avviliti i Cavalieri Dell’Uomo Bianco sul web ergersi contro il buonismo e il politicamente corretto (ovvero tutto ciò che mette in discussione non solo il primato della pelle bianca sul resto degli abitanti di questo pianeta, ma anche il diritto di manifestarlo impunemente) che ci siamo ritrovati il tweet del Presidente turco (e accanito sostenitore del Basaksehir, come spiegammo qui) Recep Tayyip Erdogan che si scagliava contro il razzismo.

Apprezziamo che il Sultano abbia trovato il tempo, tra la repressione di un dissenso politico interno e lo sterminio di un villaggio curdo, per sottolineare quanto lui sia contro il razzismo su un campo da calcio. Apprezziamo onestamente meno le politiche fortemente razziste che mette in atto quotidianamente nel suo Paese, che non possono far altro che indicarci come ci sia la volontà di usare questo gesto per pulirsi la faccia di fronte agli europei.

Il gesto dei calciatori di PSG e Basaksehir è stato epocale, necessario e che siamo sicuri farà scuola nella battaglia – negli stadi e nelle strade – contro il razzismo. Tutelarlo dalle speculazioni di presidenti dispotici e dalle contraddizioni di gente come Neymar, pronta ad abbandonare un campo da calcio in segno di protesta contro il razzismo e poi sedersi allo stesso tavolo con l’amico Jair Bolsonaro, il Matteo Salvini brasiliano, crediamo sia l’umile lavoro che possono e devono fare gli antirazzisti rimasti fuori da quel rettangolo di gioco.

Parlare di Bolsonaro, di Erdogan e di Salvini come commento a un’espressione inaccettabile di un quarto uomo durante una partita di Champions League non è divagare o voler togliere importanza a cosa è successo su quel campo, cercare di spostare i riflettori da Pierre Webo e Demba Ba: è lo stesso meccanismo che spiega, e con questo si chiude il cerchio dei riferimenti, Carl Schmitt in Teoria del partigiano: con il partigianato teorizzato da Lenin si passa da una guerra come “gioco convenzionale” – che possiamo vedere nelle belle iniziative antirazziste della Uefa, con lo scopo di chiudere in una gabbia istituzionale le reazioni dei calciatori vittime di razzismo sui campi da calcio – ad un’inimicizia assoluta, che non conosce limiti, regolamenti o convenzioni – che ci piace associare alla stessa reazione intransigente di Demba Ba e Pierre Webo, che esce dal campo e che non può permettersi di risparmiare nessuno proprio con la stessa intransigenza mostrata a Parigi.