Scuola

La protesta dei lavoratori (precari) che assistono i disabili a scuola: “Durante la pandemia la coop non ci paga la malattia”

Gli Aec (assistente educativo culturale) sono coloro che si occupano dei ragazzi con difficoltà accanto all'insegnate di sostegno. Nessuno di loro però è dipendente del ministero, bensì di cooperative che gestiscono esternamente il servizio. La denuncia di un lavoratore a ilfattoquotidiano.it: "Con il Covid i molti che sono stati costretti a entrare in quarantena non hanno avuto un soldo”

Lavorano per meno di mille euro al mese a fronte di oltre trenta ore settimanali, quando la scuola è chiusa per le vacanze non percepiscono un centesimo di euro e non sempre hanno dispositivi di protezione individuale in grado di proteggerli. Ora, alcuni di loro denunciano che la cooperativa per cui lavorano non ha pagato le giornate di assenza per malattia o permesso. Sono gli Aec, un acronimo che nasconde la dicitura assistente educativo culturale (Aec). In Italia sono circa 55mila e solo a Roma 3mila. Chi non ha un figlio disabile o non è un insegnante difficilmente li conosce, ma sono loro ad occuparsi dei ragazzi con difficoltà quando si devono accompagnare in bagno, quando devono essere imboccati o quando vanno gestiti nelle ore fuori dalla classe. È un lavoro indispensabile nel settore dell’istruzione: accanto all’insegnante di sostegno (quando arriva) c’è sempre un assistente educativo culturale. Nessuno di loro è dipendente del ministero dell’Istruzione e nemmeno dei Comuni, ma appunto di cooperative che gestiscono esternamente il servizio. Dal 1999 funziona così.

A Roma le coop che hanno in mano questo appalto sono trenta. Tra queste c’è la “Roma81”. “Con il coronavirus la situazione è peggiorata“, ha detto a ilfattoquotidiano.it l’assistente educativo culturale Germano Monti. “Se la classe è a casa in didattica a distanza, l’Aec non è retribuito. E con il Covid i molti che sono stati costretti a entrare in quarantena o in isolamento fiduciario non hanno avuto un soldo”. Monti conosce da vicino la questione: “Io sono a casa da mesi perché non sono idoneo alla mansione per i problemi di salute che ho e non ho percepito nulla. Come me sono in tanti in questa assurda situazione”.

Nei giorni scorsi, un gruppo di dipendenti della “Roma 81” ha denunciato di aver ricevuto una mail da parte della presidenza della Cooperativa in cui veniva comunicato che, “a seguito della recrudescenza del contagio che ha prodotto un numero ingente di ore contrattualizzate ma non prestate, l’azienda si vede costretta ad attivare i relativi ammortizzatori sociali (Fis) per farvi fronte. Quindi, a partire dal mese di ottobre 2020, tutte le ore lavorate saranno regolarmente retribuite. Diversamente, le ore non lavorate saranno coperte dalla Fis”.

A intervenire su questo problema è stato anche il consigliere comunale Stefano Fassina che nei giorni scorsi ha presentato un’interrogazione urgente alla sindaca Virginia Raggi e agli assessori competenti: “A fronte della comunicazione della coop – scrive Fassina – i dipendenti non si sono visti retribuire le giornate di assenza per malattia o permessi che verranno, a detta della cooperativa, retribuite dalla Fis. Tale situazione evidenzia un abuso di potere visto da parte del datore di lavoro, in quanto le ore non lavorate erano evidentemente da intendersi quelle conseguenti alla riduzione dell’orario di apertura delle scuole e non quelle relative a permessi e/o malattie”. Una battaglia che il Comitato sta portando avanti anche su un altro fronte: 12mila cittadini hanno firmato un’iniziativa popolare per far approvare una delibera comunale che internalizzasse il servizio almeno a Roma. La delibera è stata però bocciata.

In difesa e a sostegno degli assistenti educativi culturali, nei mesi scorsi è nato “il comitato Romano Aec, un comitato autorganizzato di lavoratori”, che, spiegano in una nota, “ha promosso da subito l’autorganizzazione dei soggetti in causa, facendo rete con le famiglie dei bambini con disabilità, gli insegnanti, i colleghi di altre cooperative e i cittadini romani che non tollerano che si usino soldi pubblici in questo modo disonesto”. E oggi denunciano: “Il Comitato Romano Aec, insieme alla rete di cittadini che si è costituita, continuerà il suo percorso affinché un servizio così importante erogato con soldi pubblici sia finalmente gestito dal pubblico non da “aziende del privato sociale” che speculano sul nostro lavoro”. E, chiudono, “pretendiamo di ricevere un salario adeguato con tutti i permessi e le malattie come da CCNL e di lavorare in sicurezza per noi stessi e per i bimbi che seguiamo, visto oltretutto il periodo di pandemia. Troviamo scellerato esporre lavoratori, bambini e la società intera ad un rischio per l’avidità di pochi”.