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Black Friday, con il lockdown c’è solo Amazon. Pro e contro nell’esperienza di alcune delle piccole imprese che usano la piattaforma

Le testimonianze di chi utilizza la piattaforma. Qualcuno si è visto "rubare" il distributore, qualcun altro si è ritrovati i suoi prodotti ad un prezzo diverso da quello previsto. 14mila Pmi italiane si affidano ad Amazon che però non dice quante sono sul totale

Alla fine ci siamo: Black Friday. Il venerdì dei super sconti che riporta in nero (black, appunto), e dunque in attivo, i bilanci dei negozianti. La Francia lo ha rinviato di una settimana per attendere la fine del periodo di chiusura dei negozi, imposto dall’emergenza sanitaria. L’Italia non lo ha fatto, le varie categorie non hanno trovato un accordo, sebbene anche Amazon avesse dato una disponibilità di massima, così come ha fatto in Francia. Amazon, il gigante che si staglia sullo sfondo. Perché il motivo del rinvio è evidente: il rischio che le piattaforme on line possano avvantaggiarsi del venerdì dei super sconti più di quanto già non farebbero, vista la chiusura dei negozi tradizionali.

Ci sono migliaia di negozi e piccole aziende che usano la nostra piattaforma. Fermare noi significa fermare anche loro, fa notare Amazon. Vero. In Italia sono 14mila le piccole imprese che si affidano ad Amazon per vendere i loro prodotti. Sono tante? Sono poche? Difficile dirlo. In Italia le Pmi sono oltre 4 milioni. La società non fornisce il dato sul numero complessivo di rivenditori, compresi quelli esteri, ospitati sulla sua piattaforma. Secondo il manifesto del movimento francese che sostiene il commercio tradizionale “la quota delle Pmi francesi sul totale è di un modesto 4,6%”. Verosimile che la percentuale italiana non sia molto diversa. Le Pmi italiane non brillano per intraprendenza tecnologica. Secondo una recente rilevazione del Politecnico di Milano meno del 16% è oggi attrezzata per vendere attraverso un proprio sito.

Ma a cosa va incontro un’azienda che decide di appoggiarsi ad Amazon per operare sul mercato? Le offerte e le condizioni variano a seconda del tipo di servizio, il semplice accesso alla piattaforma, l’utilizzo dei magazzini e della logistica, l’inclusione nelle spedizioni “prime” (senza costi per il cliente dietro pagamento di un abbonamento), il tipo di prodotti venduti, la quantità e altri fattori. E variano da un paese all’altro. In generale, le pmi che abbiamo contattato e che, per ovvi motivi, preferiscono restare anonime, danno un giudizio molto positivo sui servizi offerti, ritengono sostanzialmente congruo quanto pagato, ma non mancano di sottolineare alcuni rischi.

“I miei prodotti venduti a prezzi troppo bassi”– “Senza dubbio Amazon dà la possibilità anche a piccole aziende di affacciarsi su un mercato immenso, da sole non avrebbero la capacità di farlo. E lo fa a condizioni ragionevoli”, ci spiega un imprenditore utente della piattaforma che per ogni 10 euro di ricavi ne lascia circa 3 al colosso dell’e-commerce. Non tutto però fila sempre liscio. “Il mio canale di vendita non è solo Amazon, i nostri prodotti, rivolti per lo più a una clientela professionale, si possono trovare anche nei negozi. Spesso, soprattutto nel Mezzogiorno, questi punti vendita hanno preso l’abitudine di rivenderli ad Amazon, ad un prezzo più basso rispetto a quello che pratichiamo noi. Il risultato è che sulla piattaforma si trovano in vendita ad un prezzo inferiore di quello che vorremmo. Questo per noi è un danno non solo economico ma anche di immagine“. Amazon, persegue questa strategia del massimo ribasso per conquistare mercati. Ma non è detto che continuerà a farlo in eterno. Negli Stati Uniti, il gruppo sta iniziando ad abbandonare la politica dei prezzi come sistema per attrarre e fidelizzare clienti, puntando più che altro sulla vastità dell’offerta e la qualità dei servizi. A quel punto tutti questi negozi verrebbero tagliati fuori.

“Amazon incarna il modello statunitense e lo estende a tutto il mondo. Negli Usa i piccoli negozi sono praticamente spariti, tutto è in mano alle grandi catene, ormai persino nella ristorazione. Non è un modello che apprezzo, penso ci siano molte controindicazioni, alla fine i negozi rappresentano anche un presidio di socialità”, ci spiega l’imprenditore che aggiunge “i negozi si devono adattare, offrire di più, diventare esperienziali. Altrimenti sono spacciati”. Altro aspetto complicato: “Amazon ci invia continue comunicazioni, perché le condizioni delle offerte vengono continuamente adattate e riviste. Gestire i rapporti con la piattaforma ormai è un lavoro, per farlo devi essere o devi diventare una Pmi evoluta”. Può anche capitare che il misteriosissimo algoritmo di Amazon invii ordini non così precisi. “Mi è capito di ricevere richieste per un quantitativo di prodotti assolutamente sproporzionato, non lo è evaso”.

I dubbi sull’uso dei dati delle vendite – Poche settimane fa l’Antitrust Ue ha avviato una procedura contro Amazon. Tra le accuse c’è quella di sfruttare i dati delle vendite delle Pmi che usano la piattaforma per migliorare il posizionamento dei propri prodotti. Concorrenza sleale insomma, favorita dal doppio ruolo di venditore e fornitore di servizi a chi vende. “E’ esattamente quello che è successo a me. Sicuramente hanno un totale tracciamento delle vendite, soprattutto se si usano anche i servizi di logistica”, ci racconta un altro piccolo imprenditore che, a sua volta, preferisce rimanere anonimo. “Ho iniziato a vendere il mio prodotto, che acquistavo da un distributore estero, su Amazon, per un anno circa ho avuto ottimi risultati, pagando alla piattaforma, circa il 20% di quello che incassavo, una cifra buona per il servizio che ricevevo”, spiega. Le vendite, soprattutto per un particolare prodotto, andavano molto bene ma a quel punto qualcosa si inceppa. “Tra le tantissime condizioni che Amazon include nei suoi accorsi può anche esserci quella di avere il diritto di acquistare lo stesso prodotto a prezzi più bassi. Lo hanno fatto, rivolgendosi direttamente al distributore e tagliando fuori me”, continua il piccolo imprenditore che fa notare un altro aspetto. Amazon a volte invia comunicazioni del tipo “tu non puoi vendere questo tipo di prodotti sulla nostra piattaforma”, il veto rimane finché la società non ha esaurito i prodotti del suo magazzino, solo a quel punto accorda il permesso di riprendere. E prima di farlo, per reperire un prodotto, Amazon può attingere a tutti i suoi magazzini sparsi per l’Europa, non solo quelli italiani. Un vantaggio competitivo enorme, che può schiacciare chiunque.

@maurodelcorno