Cronaca

Coronavirus, così è fallito il contact-tracing: “Solo 9mila tracciatori, da giugno le Regioni hanno fatto 275 assunzioni”

Il primo argine all'aumento dei casi, quello del tracciamento, sembra ormai non reggere più: nei dati riservati dell’Istituto superiore di Sanità, citati dal Sole 24 Ore, i numeri delle risorse umane (poche) messe a disposizione. Il governo con il decreto rilancio lo scorso maggio aveva messo a disposizione nuove risorse, ma resta una persona ogni 10mila contatti a rischio da registrare

Un aumento di casi che sta diventando incontrollato perché il primo argine, quello del tracciamento, sembra ormai non reggere più. Con gli oltre 8mila positivi al coronavirus accertati solo nella giornata di giovedì, ricostruire la catena del contagio diventa una missione quasi impossibile. Visto che, svela il Sole 24 Ore citando dati riservati dell’Istituto superiore di Sanità, nelle Regioni attualmente ci sono solo 9mila “tracciatori”. Sono le persone che devono chiamare, registrare ed eventualmente mettere in isolamento gli oltre 100mila contatti a rischio che emergono ogni giorno.

Il governo aveva fissato l’obiettivo di avere almeno un tracciatore ogni 10mila abitanti. Una soglia minima, fissata in primavera: passati i mesi estivi, però, le Regioni non hanno implementato le risorse umane da mettere a disposizioni del tracciamento. A 8 mesi dall’emergenza, stando ai dati in mano all’Iss, in Abruzzo, Calabriba e Friuli non è stata raggiunta nemmeno la soglia stabilita dal governo. La migliore di tutte, scrive il Sole 24 Ore, è la Basilicata con 7,6 tracciatori ogni 10mila abitanti. Sono comunque numeri attualmente insufficienti. Eppure con il decreto rilancio a maggio scorso erano stati stanziati i soldi per le assunzioni, proprio in previsione della seconda ondata. Il risultato pratico è un aumento di 275 tracciatori da giugno a ottobre.

In questo contesto si inserisce il caso della Lombardia, che dal governo ha ricevuto 202 milioni per assumere personale. Se sul fronte della terapia intensiva la situazione è migliorata, con 1800 posti letto potenzialmente a disposizione, la medicina territoriale è rimasta il tallone d’Achille. Riemergono gli stessi problemi del marzo scorso: mancano spazi dove mettere in quarantena i positivi che non hanno bisogno di cure ma che non hanno la possibilità di isolarsi nelle loro case. Inoltre, tra Milano e hinterland, c’è ancora carenza di medici Usca e infermieri a domicilio. Chi va nelle case ad assistere i malati? Secondo i dati del Sole 24 Ore, solo nella città metropolitana mancano 130 medici e 520 infermieri.