Società

La mediocrità del male erige ramose fortezze

di Serenella

Non nutro la presunzione di commentare efficacemente i fatti di Colleferro e di Caivano. Mentre scrivo, insorgo contro l’inefficienza lessicale, che incorpora porzioni di realtà e ne dissolve altre, vacuandone l’essenza. Partirò, dunque, dall’inflazionato concetto di banalità del male adducendo che, a tergo di cotanta scontatezza, si cela una complessità sommersa, arcana, inespressa.

Non alludo alle scale di grigio. Mi riferisco alle conseguenze gravi, radicate e ramificate, scatenate, in origine, da atti dozzinali ed evitabili. Piccole grandi tare più o meno integrate nel tessuto della quotidianità, talvolta persino accolte in quanto convenzionali, che allignano in maniera subdola e impercettibile per molt*: gli stereotipi e la carente rappresentanza delle cosiddette minoranze.

Si pensi, a proposito di cliché, al pianto sovente negato agli uomini, sin da bambini, rei soltanto di essere maschi. In un universo in cui se versi lacrime “non sei uomo” e lo sei se invece tiri un pugno, banalmente, appare più attraente la violenza, dell’umanità. Si ragioni sulla frequente derisione rivolta, sin da bambine, alle donne che abbracciano le arti marziali, il calcio, la scienza o qualsiasi altro interesse che le discosti dal ruolo di creature assenzienti, rassicuranti, da proteggere per nutrire la compiacenza di un’inane e tossica mascolinità.

Si mediti sulla carestia sovrabbondante, nei dibattiti pubblici e privati, nei ruoli decisivi e di potere, di individui (e di argomenti a essi connessi) non bianchi, non etero, non maschi, non cisgender, non ricchi, non comunemente abili e in generale estranei ai modelli profusi e accolti, con impositiva pertinacia, dai media e dalla collettività.

Tali lacune vengono più o meno consciamente introiettate e favoriscono lo sviluppo di schemi comportamentali che, nei casi peggiori, costituiscono la matrice dei crimini verso le donne e i soggetti considerati più deboli. Tali eventi, però, sono la manifestazione evidente di un deterioramento complesso e molto più diffuso che cova in profondità.

Secondo il rapporto ISTAT “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale” del 2018, infatti, il 32,5% della popolazione ritiene che “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”. Il 39,3% delle persone pensa, invece, che “una donna è in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole”, il 23,9%, che una donna può provocare la violenza sessuale con il proprio modo di vestire mentre per il 15,1%, una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe è almeno in parte responsabile; per il 7,2% della popolazione “di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì”, per il 6,2% “le donne serie non vengono violentate”.

Un altro dato scioccante è quello dell’indice Trans Murder Monitoring di Transrespect versus Transphobia Worldwide, secondo cui l’Italia, con trentasei casi registrati dal 2008 al 2016, è prima in Europa per numero di vittime di transfobia. Secondo l’Eurobarometro del 2019 “Discrimination in European Union”, inoltre, il 46% degli italiani non vorrebbe che i propri figli intrattenessero relazioni con una persona trans. L’Italia sarebbe oltretutto al di sotto della media europea per l’approvazione della comunità LGBTQI+.

La situazione è altrettanto grave sul fronte del razzismo sistemico. Malgrado il nervosismo diffuso nel riconoscere tale criticità, in Italia si sarebbero verificati 7.426 casi di atti razzisti solo tra il 1º gennaio 2008 e il 31 marzo 2020 con ben 901 aggressioni violente, stando ai report dell’associazione Lunaria.

Al di là dei dati, i fatti di cronaca delle scorse settimane e i relativi commenti lo confermano: lo scibile delle storture, superficiale e sommerso, che una certa società crudele, bigotta e patriarcale ha partorito, è cresciuto, accogliendo l’abiezione, avvelenando le coscienze e inghiottendo il coraggio della bellezza.

È ora di assumersi la responsabilità di colorare questo regno fuligginoso, più prosaico di quello lovecraftiano di Cthulhu. Una legge non sarà sufficiente. È tempo di transmutare l’eteronormatività e la cisnormatività nel diritto inalienabile di amare, autodeterminarsi ed essere rispettat*; di annerire il panorama televisivo, politico e sociale sbiadito dalla supremazia bianca.

Le donne, le persone nere, immigrate, LGBTQIA+, diversamente abili/incasellabili, devono porsi ed essere poste al centro dei dibattiti e degli spazi pubblici, subito. Gli esseri umani di valore, senza distinzione alcuna, siano ingranaggio attivo di questo processo. Presto! O ci sottrarranno altra bellezza.

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