Diritti

Fine vita, caso Davide Trentini. I giudici: “Non solo le macchine. Anche farmaci e assistenza sono sostegni vitali”

Sono state depositate le motivazioni del verdetto del 27 luglio con cui sono stati assolti Marco Cappato e Mina Welby. Il processo aveva un valore aggiuntivo rispetto al caso dj Fabo su cui si è espressa la Consulta e il cui verdetto è alla base dei motivi che hanno evitato la condanna dei due imputati così come chiesto dall'accusa

“Io più di questo non posso darti, non esiste qualcosa di più forte di quello che ti do”. Sembra di sentirla la voce del medico di Davide Trentini, devastato dal dolore innescato dalla sclerosi multipla, mentre spiega al suo paziente che no, non c’è nulla che possa alleviare quei dolori atroci “sempre più forti”. Sofferenze che avevano spinto il 53enne, malato da 27 anni, non solo a cercare in autonomia una struttura in Svizzera per poter scegliere di morire, ma anche a pagare un anticipo. Tutto questo prima che Marco Cappato e Mina Welby fossero contattati per potere soddisfare una decisione già maturata nel 2015. Trentini è morto in Svizzera il 13 aprile 2017. Aiutato per “dovere morale” da Cappato e Welby.

La lettura delle 46 pagine di motivazioni della Corte d’assise di Massa Carrara, che ha assolto il 27 luglio scorso la copresidente e il tesoriere dell’Associazioni Luca Coscioni, dall’istigazione e aiuto al suicidio “perché il fatto non sussiste” e perché “il fatto non costituisce reato”, però introduce un altro e potente motivo per l’assoluzione ovvero che anche i farmaci e l’assistenza, non solo le macchine, sono da considerarsi sostegno vitale. Scrivono testualmente i giudici: “La dipendenza da trattamenti di sostegno vitale non significa necessariamente ed esclusivamente dipendenza da una macchina“. E Trentini nell’ultimo anno di vita doveva subire lo svuotamento intestinale ogni settimana. Non era in grado di farlo da solo. E se non fosse stato aiutato certo non sarebbe sopravvissuto a lungo. Come del resto se non gli fossero stati dati i farmaci per una malattia che è irreversibile e degenerativa. Una condizione che gli aveva anche impedito di rinunciare a lanciarsi dalla finestra, come si legge nelle motivazioni, perché senza forza fisica per farlo e per paura che due piani non sarebbero bastati.

Come in aula hanno raccontato la madre Anna Maria Massetti, la sorella Katia e l’ex compagna Rossella Gozzani Davide Trentini non solo aveva già deciso di morire nel 2015, ma era andato oltre. E solo perché dalla Svizzera, dove era arrivata la luce verde per il suicidio assistito, non comunicavano l’inizio della fase finale. Trentini si era arrabbiato e aveva chiesto indietro i soldi. Ed è per questo motivo che per Cappato e Welby il fatto non sussiste. Perché totalmente estranei a qualsiasi ipotesi di aver istigato o rafforzata una decisione già presa e che non era stata soddisfatta per intoppi e lentezze che non si conciliavano con una condizione di dolore sempre più invasivo.

C’è poi l’assoluzione per l’aiuto al suicidio. Arrivata con il riconoscimento dei commi 2 e 3 dell’articolo 530. Ovvero quando “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste… ” o se “se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse…”. Ed è qui è entra in gioco la sentenza della Corte costituzionale, che con lo storico verdetto pronunciato per il caso di Fabiano Antoniani, ha deciso che no è punibile chi aiuta il suicidio di chi si trova in condizioni di malattia irreversibile, afflitto da sofferenze, capace di decidere e impossibilitato a vivere senza sostegni vitali.

La sentenza della Consulta ha dichiarato non punibile l’accesso al suicidio assistito in presenza di questi quattro elementi: non è punibile, infatti, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente “che sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetto da una patologia irreversibile” e fonte “di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili”, ma anche che sia “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. E nonostante Trentini appunto non fosse “attaccato” a una macchina i giudici toscani hanno comunque preso in considerazione il fatto che anche “farmaci e assistenza” lo possono essere. Per trattamento di sostegno vitale, scrivono i giudici in motivazione, “deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida“. La Consulta, decidendo sul caso di dj Fabo, tenuto in vita da macchinari, “ha creato una nuova causa di giustificazione in presenza della quale l’agevolazione del suicidio non è punibile”.

Il processo Trentini per questo motivo aveva un valore aggiuntivo rispetto al caso dj Fabo. Anche l’assenza di una macchina aveva spinto la procura a chiedere 3 anni e 4 mesi per i due imputati. “Chiedo la condanna ma con tutte le attenuanti generiche e ai minimi di legge. Il reato di aiuto al suicidio sussiste, ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito. Colpevoli sì – aveva detto il pm di Massa Marco Mansi – ma meritevoli di alcune attenuanti che in coscienza non mi sento di negare”. Nobili intenti perché l’accusa sapeva, come evidenziano nelle motivazioni i giudici, che durante il processo era emesso come né i cerotti all’oppio, né la marijuana terapeutica né il metadone dessero più sollievo a Trentini che avrebbe sofferto anche come gli aveva detto il medico sempre e comunque: “Ti sei ridotto a un punto che se ti copri con il lenzuolo senti dolore“.

I giudici di Massa Carrara, sottolinea l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Coscioni e coordinatrice e legale nel collegio difensivo di Welby e Cappato, sottolinea anche come “la corte di assise di Massa ha chiarito che il riferimento è da intendersi a qualsiasi tipo di trattamento sanitario, sia esso realizzato con terapie farmaceutiche o con l’assistenza di personale medico o paramedico o con l’ausilio di macchinari medici. Sono compresi anche la nutrizione e idratazione artificiali“. A cui era sottoposta per esempio Eluana Englaro, per ricordare un altro caso che ha contributo a fare un passo in avanti, grazie alla battaglia legale del padre Beppino, nel riconoscimento dei diritti di chi è malato e esprime o ha espresso in vita le sue volontà.

“La decisione – continua Gallo – aggiunge l’elemento importante (emerso dalla consulenza tecnica del dottor Mario Riccio) che il trattamento di sostegno vitale è e ‘deve intendersi qualsiasi trattamento sanitario interrompendo il quale si verificherebbe la morte del malato anche in maniera non rapida’. Questa era infatti la situazione di Trentini, sottoposto a una serie di trattamenti sanitari la cui interruzione avrebbe certamente portato al decesso, ma non nell’immediato”.

La politica – conclude Gallo – continua a non assumersi la responsabilità di fare il proprio mestiere, quello di legiferare, ancora una volta è grazie ai giudici i diritti fondamentali possono essere goduti. Auspichiamo che, anche grazie alla chiarezza delle motivazioni di questa sentenza, quanto prima si sblocchi la paralisi riformatrice delle Camere e si possa arrivare a una chiara regolamentazione del ‘fine vita”. Solo qualche giorno fa la presidente della Consulta, Marta Cartabia, al termine del suo mandato ha ricordato che la tendenza generale in tutto il mondo occidentale, non solo in Italia, è di mettere in termini giuridici decisioni politiche ma la Corte Costituzionale non può legiferare, questo spetta al Parlamento”. Che però, nonostante la presentazione di diverse proposte di legge, continua a restare muto.