Cronaca

Quanta ignoranza su Malak e Jannat, uccise da incuria e cambiamento climatico

Due sorelle, una di 3 l’altra di 14, vengono uccise da un alto pioppo mentre dormono in un campeggio di Marina di Massa. Quando arriva una notizia così, il dovere di un giornalista è duplice: riportare i fatti cercando di capire i motivi che hanno causato l’evento. In questo caso, gli elementi su cui riflettere sono tantissimi, così come evidenti le possibili responsabilità, ovviamente da confermare. Come mai sette persone dormivano in una tenda (e tante altre, accanto) quando era stata diramata un’allerta arancione? Non sarebbe stato opportuno sgomberare il campeggio? Seconda domanda: gli alberi erano sicuri? Erano stati curati? Erano malati? Terza domanda: l’intensità della tromba d’aria che ha colpito l’albero era tale da causa la caduta? E da cosa è derivata una tromba d’aria così intensa?

Tutti questi elementi sono fondamentali perché a un evento di questo genere venga dato un nome e cognome. Ovvero, perché vengano individuate le cause, che poi sono fondamentali anche per il risarcimento di questa famiglia non ricca che ha perso due figlie. E invece cosa fanno i giornali di oggi? Parlano, così come il sindaco di Marina di Massa, di “tragica fatalità”. Peggio, intervistano villeggianti del campeggio e vicini di casa, riportando frasi come “il destino è davvero crudele” oppure addirittura di “iella” (come fa Libero), ricamando sulla storia senza dare nessun contributo utile magari ai magistrati o comunque all’opinione pubblica.

Ma il pezzo veramente più incredibile è quello di Gabriele Romagnoli sulla Stampa, una specie di apoteosi del fato, oltre alla retorica fondata spesso sull’ignoranza, come quando scrive che il campeggio deve essere apparso come un’oasi a questa famiglia “che ha temuto il deserto” (falso, la famiglia Lassiri era a Torino da anni). Secondo il giornalista in ciò che è accaduto “non ci si può leggere un disegno, soltanto l’ineluttabilità del caso”. Addirittura i messaggi di cordoglio delle istituzioni sono definiti “parole dovute, riti dell’inspiegabile“. E poi: “Si annuncia un’indagine. O meglio l’ennesimo capitolo dell’indagine che prosegue invano da secoli: quella sul fato”.

Personalmente sono parecchio stanca dei continui attacchi delle persone sui social a noi giornalisti. E tuttavia non posso che constatare che pezzi del genere li legittimano. Non solo perché inutili, macabri ma perché, peggio, veicolano messaggi drammaticamente sbagliati: e cioè che due sorelle sono morte per caso. E invece così non è.

In questa vicenda ci sono vari elementi, di cui senz’altro uno è la violenza del cambiamento climatico causato dall’uomo. D’altro canto, la morte delle due sorelle avviene in uno scenario di guerra: incendi e roghi al sud, fiumi esondati, rovesci di grandine che spaccano le vetrine e feriscono la gente, chiese allagate durante i funerali, edifici scoperchiati. Ma tutto questo non toglie la responsabilità, neanche quelle del gestore del campeggio che sulla’”imprevedibilità” di questi eventi cercherà di appigliarsi. Se da un lato è sbagliato parlare di “tromba d’aria atipica”, come ha fatto il Corriere, dall’altro è giusto ricordare come questo sia frutto di un clima stravolto (ormai “tipico”, però) che tuttavia, ripeto, non libera nessuno dalle colpe, anzi.

Come mai, appunto, il campeggio non era stato fatto evacuare? Solo chi è totalmente privo di una coscienza climatica, o meglio di una conoscenza di come gli eventi estremi siano sempre più frequenti può dormire sonni tranquilli. L’albero caduto era anche stato forse, capitozzato, così si legge su alcuni siti di esperti, una forma di manutenzione che danneggia l’albero senza renderlo sicuro. Paradossalmente, gli unici ad aver avuto consapevolezza del rischio erano stati proprio loro, i genitori, che avevano deciso di aspettare un giorno per non mettersi in auto con l’allerta maltempo.

Insomma le responsabilità di ciò che è accaduto ci sono. E per me sono queste: aver ignorato un’allerta meteo, pur avendo una struttura sensibile – spiace dirlo, ma i campeggi sono diventati posti fragili, tra torrenti che esondano, alberi che cadono e incendi, forse in futuro ce li dovremo dimenticare -; non aver – probabilmente, è da accertare – fatto una manutenzione delle piante tale da renderle sicure, infine mandare messaggi di cordoglio, per esempio quelli di molti politici, pur non facendo nulla per affrontare il dramma crescente del cambiamento climatico e le devastazioni e i lutti che porta con sé.

Una Giorgia Meloni che si schiera a fianco degli italiani che lottano contro il maltempo appare grottesca, visto che né lei né il suo partito hanno alcuna idea di cosa sia il cambiamento climatico, anzi in parte lo negano persino. Purtroppo, ancora, la parola “maltempo” è il comodo rifugio di molti, ma come chi si occupa di ambiente sa non vuol dire nulla. Non esiste un tempo “malo”, il tempo è oggi esattamente come noi lo rendiamo: ovvero, a causa dell’immissione massiccia di gas serra, sempre più pericoloso per noi stessi. Si potrebbe dire, più correttamente, “mal uomo”.

Mentre aspettiamo che la classe politica arrivi a capire cosa sta accadendo e prenda provvedimenti, ci augureremmo almeno che le vittime sempre più numerose dell’incuria da un lato e del cambiamento climatico causato dall’uomo dall’altro, avessero giustizia. Non articoli di giornale ridicoli, ma indagini serie. Che comincino anche a valutare non solo, speriamo, le colpe di chi forse ha lasciato pernottare bambini sotto alberi pericolosi, ma anche di tutti quelli che dovrebbero, per ruolo, combattere il cambiamento climatico e non lo fanno. Nel mondo le cause ai governi per inazione di fronte al riscaldamento globale aumentano ed è giusto che sia così, è giusto chi paghi chi non agisce, per ignoranza o malafede non importa. Solo così questi morti avranno un risarcimento. Perché no, non si tratta di fatalità. Chi lo scrive, anzi, dice il falso. E chi scrive il falso dovrebbe, a mio avviso, non solo essere ridicolizzato, ma anche per questo perseguito.

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