Cronaca

Caso camici, trovati i 25mila mancanti nella sede del cognato di Fontana: sequestrati dalla Guardia di Finanza

Si tratta di una parte del lotto inizialmente previsto nel contratto da mezzo milione di euro tra Dama e la Centrale acquisti regionale e che non è mai stato consegnato alla Lombardia. Dopo l'intervento del governatore per bloccare l'affare, infatti, tutto si sarebbe fermato. Dini ha poi chiesto di trasformare la "fornitura" in "donazione", ma la modifica non è mai stata formalizzata. Da qui l'inchiesta per frode in pubbliche forniture

Erano il tassello mancante nell’inchiesta che vede indagati il governatore Attilio Fontana, il cognato Andrea Dini e l’ormai ex dg della Centrale acquisti lombarda (Aria spa) Filippo Bongiovanni. Ora la Guardia di finanza li ha trovati e sequestrati: si tratta dei 25mila camici (su 75mila totali) che la società di Dini non ha mai consegnato alla Regione dopo che la fornitura stipulata durante l’emergenza Covid è stata trasformata in corso d’opera in “donazione”. Un passaggio di contratto che in realtà non è mai stato registrato dagli uffici del Pirellone. Anzi, stando a quanto risulta dalle indagini, sarebbero stati proprio gli avvocati di Aria a dare parere negativo per questioni procedurali e per il presunto conflitto di interessi alla base di tutto. Le Fiamme gialle hanno rinvenuto l’intera partita mancante durante la perquisizione avvenuta ieri sera nella sede di Dama Spa, cioè l’azienda di Dini. Dai primi riscontri sembra che il lotto sia completo, nonostante nei mesi scorsi ci sia stato un tentativo di rivenderlo a un’azienda di Varese a un prezzo superiore rispetto a quello stipulato inizialmente con la Regione.

I camici, fanno sapere gli investigatori, sono ora custoditi come corpo del reato in un magazzino nella disponibilità dell’autorità giudiziaria. Perché sono così importanti? Perché è proprio sulla base di questo lotto mai consegnato alla Lombardia che i pm di Milano hanno iscritto nel registro degli indagati il governatore Attilio Fontana con l’accusa di frode in pubbliche forniture. Quando il governatore viene a sapere “il 12 maggio” dei “rapporti negoziali” tra il cognato e Aria – come ha raccontato lui stesso in Consiglio regionale – “chiede” personalmente a Dini di “rinunciare al pagamento per evitare polemiche e strumentalizzazioni”. Intorno al 19 maggio, l’imprenditore scrive quindi alla Regione per trasformare tutto in “donazione”. Da quel momento la fornitura si interrompe e sui 75mila camici inizialmente previsti, ne vengono consegnati 49mila. Il problema è che, stando ai rilievi dei magistrati, quel contratto non è mai stato modificato, motivo per cui l’azienda sarebbe stata obbligata a mandare alla Lombardia anche la partita mancante.

In base a quanto si apprende, il Nucleo speciale di Polizia valutaria è rimasto nella sede della ditta fino all’una di notte. Oltre al lotto di camici, sono stati sequestrati la corrispondenza tra l’ad e gli uffici di Aria, oltre che l’intera documentazione contabile. I magistrati hanno comunque fatto sapere che, qualora si decidesse di procedere con la donazione dei dispositivi di protezione ai medici, visto il perdurare dell’emergenza Covid, la procura è disposta a dare il nulla osta per l’eventuale dissequestro.