Cultura

La Sicilia si accende per le polemiche. Tutto a causa di uno dei ‘giganti’ di Agrigento

Sarà riassemblato e messo in piedi uno dei Telamoni del tempio di Zeus di Agrigento. Operazione ardita che sta alimentando polemiche molto accese. Ne parleremo più avanti. Adesso diamo un’idea del monumento: l’Olympieion, un tempio unico per dimensioni e forme.

Fu il tempio simbolo della vittoria dei Greci di Sicilia contro i Cartaginesi, nella battaglia di Imera nel 480 a.C., dove l’esercito degli Akragantini e dei Siracusani sconfiggeva quello cartaginese. Una catastrofe per Cartagine: solo ad Agrigento furono condotti 25mila prigionieri ridotti in schiavitù. Con il loro lavoro, guidato dalla perizia architettonica e artistica dei maestri greci, furono innalzati i principali templi dorici della Valle dei templi, il più maestoso dei quali dedicato a Zeus.

Un tempio fortemente ideologico. Intanto nelle sue dimensioni, 122 metri di lunghezza e 56 di larghezza (poco più del terreno di gioco di uno stadio di calcio odierno) a simboleggiare la magnificenza di una polis in grande espansione; e poi in quella particolarità, rarissima se non unica nel mondo classico, dei Telamoni, giganti di pietra posti tra le colonne a reggere la trabeazione del monumento: potevano simboleggiare i Cartaginesi sconfitti condannati a sopportare il peso dell’Olympieion.

Empedocle che vide i lavori in corso scrisse che “gli Akragantini costruiscono come se non dovessero morire mai”, aggiungendo profeticamente che però “mangiano come se dovessero morire l’indomani” cogliendone l’indole poco avvezza ai sacrifici, quell’indole che pochi decenni dopo si sarebbe rivelata fatale per la sopravvivenza della città sopraffatta dalla rivincita dei Cartaginesi, favorita dal tradimento delle milizie mercenarie che aprirono le porte ai nemici, 406 a.C.

Quel tempio di Zeus non fu mai completato, testimonia Diodoro Siculo che però ne rimarca la straordinaria bellezza e grandiosità. Siamo in piena età romana, la città si restringe e monumentalizza attorno al foro. Con l’affermarsi del cristianesimo il tempio viene abbandonato insieme a quasi tutti gli altri e nei secoli medievali diventa una cava, la “cava gigantium“, cui si ricorre per costruire gli edifici religiosi e pubblici della nuova Girgenti appollaiata sulla collina.

Ma un angolo del tempio resta in piedi fino al 9 dicembre del 1401: tre giganti che sorreggono una parte angolare della trabeazione. Ne abbiamo testimonianza iconica in una scultura custodita al museo diocesano che cita con ogni evidenza quel reperto e nello stemma del comune di Agrigento che lo riproduce. Tommaso Fazello, che visita il tempio 150 anni dopo il crollo dell’ultimo angolo, scrive che “in quel luogo a’nostri tempi non si vede altro, che un grandissimo monte di pietre, il qual dal vulgo è detto il palazzo de’ Giganti.

L’ultimo colpo spoliativo, quello definitivo, il tempio lo riceve a metà del 1700 quando torna ad essere la cava per la costruzione del porto di Girgenti, l’odierna Porto Empedocle, il cui molo di ponente viene creato coi blocchi di tufo provenienti dal tempio. Da allora diventa una spianata enorme con vari pezzi sparsi e con un angolo ancora forse risparmiato con i materiali del crollo di inizio Quattrocento.

Si torna a parlare del tempio e dei suoi Telamoni negli anni Venti dell’Ottocento quando Raffaello Politi ricostruisce, distendendolo supino nell’area del tempio, un Telamone utilizzando i pezzi che riesce a riconoscere tra le rovine. Da allora gli 8 metri di gigante sdraiato costituiscono una delle principali attrattive, un po’ inquietante, del sito.

E torniamo ad oggi. Tra poco aprirà un cantiere per alzare in situ un Telamone di quasi 8 metri per dare ai visitatori una percezione più realistica, dicono al Parco, delle dimensioni del Tempio. Un Telamone rialzato già c’è al Museo Regionale Griffo, ma evidentemente non basta. Il progetto ha suscitato interrogazioni parlamentari all’Ars e polemiche tra gli studiosi.

“E’ la fissa di Vittorio Sgarbi – scrive sul suo profilo Facebook il ricercatore Dario Stazzone – che proponeva l’anastilosi dei templi di Selinunte, è una concezione rozza e disneyana dell’archeologia, del turismo e della valorizzazione di un sito unico al mondo con la creazione di un falso attraverso l’assembramento di frammenti di diversa pertinenza, operazione che più assurda e scorretta è difficile immaginare, in violazione della storicità del luogo e dell’autenticità del monumento.”

Pronta la replica del direttore del Parco Archeologico di Agrigento Roberto Sciarratta: “Non si avrà nessuna anastilosi riguardante la copia del Telamone ricostruito bensì delle parti di Telamone ri-assemblati nel 2008 su rilievo di Heinz-Jurgen Beste dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma tra l’altro scavati da Pirro Marconi negli anni ’20 abbastanza noti e conosciuti.”

“Tra il 2005 e il 2008 – spiega Sciarratta – è stata condotta un’estesa campagna di studi e rilievi da parte dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, guidata da Heinz-Jurgen Beste, che ha portato a completare un nuovo rilievo sistematico dei resti dell’Olympieion e dei suoi importanti elementi architettonici.”

Il Telamone ricostruito sarà posizionato nella zona a nordest del tempio, la stessa che i viaggiatori dell’Ottocento in Sicilia, disegnatori e studiosi, individuavano come il punto da cui il gigante emergeva dai ruderi. L’appalto di quasi mezzo milione di euro è stato già assegnato, i lavori inizieranno a giorni. A meno di ulteriori colpi di scena.