Zonaeuro

Recovery fund, in corso il vertice decisivo dopo quattro mesi di discussioni e cinque Consigli europei a distanza. Ecco le tappe, tra speranze nell’emissione di debito comune e resistenze nazionali

La prima videoconferenza risale al 10 marzo, due giorni dopo l'estensione del lockdown a tutta Italia. Il 17 nuovo vertice interlocutorio, con Conte che cerca di accelerare e la Merkel che frena. Il 26 marzo i leader si spaccano sugli eurobond e ripassano la palla ai ministri delle Finanze. Il 23 aprile arriva il via libera al pacchetto che comprende la nuova linea di credito del Mes, i prestiti alle imprese della Bei e il fondo Sure per la cassa integrazione. Il 27 maggio la Commissione, incaricata dai leader, presenta la sua proposta di Recovery fund da 750 miliardi. Il 19 giugno, con quella posta in gioco, i capi di Stato si ritrovano più spaccati di prima. E così si arriva a venerdì 17 luglio e al Consiglio che si appresta a diventare il più lungo della storia

La prima videoconferenza, interlocutoria, risale al 10 marzo. Due giorni dopo l’estensione del lockdown all’intero territorio italiano. Tra le priorità individuate dai 27 leader europei c’era anche la necessità di “affrontare le conseguenze socioeconomiche” dell’epidemia di coronavirus, che il giorno seguente l’Oms avrebbe ufficialmente “promosso” a pandemia. Oltre quattro mesi e sei vertici più tardi, la violenza dell’impatto sulla crescita europea è sotto gli occhi di tutti, con il pil della Ue atteso in calo di più dell’8%. Eppure, nonostante alcuni sostanziali passi avanti fatti sul fronte della solidarietà tra Paesi partner, fino a ieri sembrava insanabile la frattura tra il fronte degli ambiziosi e quello dei “frugali” che nei fatti non hanno mai accettato l’idea degli aiuti a fondo perduto. Ora si attende l’esito di una riunione plenaria potenzialmente decisiva, al termine del Consiglio europeo che si appresta a diventare il più lungo della storia dopo quello del dicembre 2000.

Ecco le tappe di avvicinamento che hanno visto i capi di Stato cercare una risposta comune alla crisi più grave dal Dopoguerra. Un’altalena tra la speranza che il Covid aprisse la strada al “momento Hamilton” dell’Europa – dal nome di Alexander Hamilton, che nel 1790 vinse la battaglia per la mutualizzazione del debito delle 13 colonie britanniche da poco riunite negli Stati Uniti d’America – e la realtà fatta di interessi e egoismi nazionali.

10 marzo: primo round interlocutorio – La videoriunione, a cui partecipano anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde e il presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno, è dedicata al coordinamento degli sforzi per rispondere all’epidemia. Nessun impegno specifico in campo economico, a parte un fondo da 25 miliardi messo in campo da von der Leyen e l’accordo sulla necessità di impiegare “tutti gli strumenti necessari per far fronte alle ripercussioni dell’epidemia sulla liquidità e per sostenere le pmi e i settori specifici colpiti, così come i dipendenti”. Nelle conclusioni si fa riferimento anche alla necessità di “garantire un’applicazione flessibile delle norme Ue, in particolare per quanto riguarda gli aiuti di Stato e il patto di stabilità e crescita“.

17 marzo: Conte pensa ai coronabond, Merkel frena – Un altro incontro interlocutorio. Giuseppe Conte, il leader del Paese allora epicentro del contagio, cerca di accelerare avvertendo che “il ritardo nella risposta comune sarebbe letale e per questo irresponsabile”. Mette sul tavolo la proposta di strumenti di debito comune (“coronabond”). E cita Mario Draghi, ricordando che “a una crisi straordinaria, senza precedenti, si risponde con mezzi altrettanto straordinari, mettendo in campo qualsiasi strumento di reazione, secondo la logica whatever it takes“. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel si associa all’auspicio ma gli altri leader prendono tempo: “Per ora non c’è una decisione”, chiude Angela Merkel. Il documento finale si limita a “invitare l’Eurogruppo a monitorare costantemente e attentamente gli sviluppi economici e finanziari e ad approntare senza indugio una risposta strategica coordinata, adeguata alla situazione in rapida evoluzione”.

26 marzo: i leader dei 27 si spaccano e rinviano – Al centro della videoriunione c’è la lettera a Michel in cui Conte, Emmanuel Macron e altri sette leader europei chiedono “uno strumento di debito comune emesso da una istituzione dell’Ue per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri”. Dopo “un dibattito molto vivace” e la minaccia del premier italiano di non firmare le dichiarazioni finali, i leader ripassano la palla all’Eurogruppo, cioè i ministri delle Finanze. Incaricandoli di “presentare proposte” alla luce della “natura senza precedenti dello choc”. Nelle conclusioni del vertice in videoconferenza non entrano riferimenti all’uso del Meccanismo europeo di stabilità che l’Italia aveva ritenuto inaccettabili. Ma nemmeno agli eurobond, sostenuti dal fronte del Sud. Lo stesso giorno la Bce avvia il piano straordinario di acquisto di titoli (pandemic emergency purchase programme) da 750 miliardi di euro annunciato per assicurare liquidità alle economie dell’Eurozona prostrate dall’impatto del lockdown.

23 aprile: via libera a Mes, prestiti bei e Sure – La quarta videoconferenza dei leader Ue dall’inizio della pandemia si chiude con il via libera al pacchetto di misure messo a punto dall’Eurogruppo il 9 aprile, del valore di 500 miliardi. Si tratta della nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità (senza condizionalità se non l’uso dei soldi per la sanità), di 200 miliardi di prestiti alle imprese da parte della Banca europea per gli investimenti e del programma Sure per il finanziamento delle casse integrazioni. Sul quarto pilastro, il Recovery fund, c’è solo un’intesa di massima sul fatto che è “necessario e urgente” e dovrà essere “di ampiezza sufficiente“. I leader – divisi tra Sud che vorrebbe aiuti a fondo perduto e Nord che punta su prestiti da restituire – incaricano la Commissione europea di fare una proposta.

27 maggio: la proposta della Commissione. “Recovery fund da 750 miliardi” – L’esecutivo comunitario, dopo quasi un mese, presenta un pacchetto sontuoso. Si chiama Next Generation Eu, è strettamente legato al prossimo bilancio europeo 2021-2027 e vale 750 miliardi di euro, da raccogliere raccolti sul mercato attraverso l’emissione di bond. Un passo cruciale: l’emissione di debito comune per finanziare la ripartenza diventa una prospettiva reale. Ben 500 miliardi verrebbero distribuiti a titolo di sovvenzioni a fondo perduto (come previsto nella proposta congiunta presentata da Francia e Germania dieci giorni prima) e 250 miliardi come prestiti. L’Italia, stando ai metodi di ripartizione proposti dalla Commissione, sarebbe il principale beneficiario, con ben 81,8 miliardi a fondo perduto e 90,9 a titolo di prestiti. La decisione finale sul pacchetto spetta però ai capi di Stato e di governo, a cui Bruxelles ripassa la palla.

19 giugno: frattura netta tra frugali e fronte del Sud – Con il pacchetto della Commissione sul tavolo, la posta in gioco per lo schieramento dei “frugali” (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca) e quello dei Paesi mediterranei aumenta di molto. E la linea di frattura diventa ancora più netta. Se la Merkel parla di “aspetti positivi e punti critici” e Conte scommette su un’intesa “entro luglio”, la premier finlandese Sanna Marin gela gli entusiasmi: “La proposta della Commissione è inaccettabile” e “la discussione non è realmente progredita“. Tutto viene rinviato a un vertice in cui sia di nuovo possibile guardarsi negli occhi, dopo mesi di videoconferenze. Michel ammette che “vi sono alcuni aspetti sui quali si registrano difficoltà“, e sono tanti: “in particolare l’ammontare complessivo del bilancio e di Next Generation EU, il loro finanziamento, comprese risorse proprie e correzioni, l’allocazione delle risorse tra gli Stati membri, l’equilibrio tra prestiti e sovvenzioni, le condizioni per l’utilizzo dei fondi”. Il premier italiano è convinto che sia possibile avvicinare le posizioni: l’Italia, fa intendere, potrebbe dimostrarsi “flessibile su alcuni aspetti del bilancio, ad esempio quelli che appaiono più anacronistici come i ‘rebate‘”, cioè gli sconti di cui godono i frugali, in cambio di una loro apertura sul Recovery fund.

17-19 luglio: veti e ricatti incrociati – La resa dei conti va avanti da quattro giorni. Ognuno dei Ventisette è arrivato a Bruxelles dopo aver affilato le armi, pronto a colpire le debolezze dei partner. Conte, davanti al muro innalzato da Rutte, gioca la carta del veto sui rebate e dei possibili interventi della Commissione contro il dumping fiscale di Olanda & c ai danni degli altri Paesi membri. Ma anche l’olandese ha nella manica l’asso del veto: pretende di riservarselo nel caso in cui non sia soddisfatto di come i Paesi che giudica “cicale” spenderanno i soldi del Recovery fund. Per colpire l’Italia tira in ballo Quota 100, la possibilità (temporanea) di uscita dal lavoro anticipata che rappresenta un “privilegio” rispetto alle età di pensione in vigore nel resto della Ue. Per venire a più miti consigli chiede un ridimensionamento degli aiuti che verranno distribuiti a fondo perduto. Ma in parte è un bluff: l’obiettivo vero è strappare maggiori sconti sul contributo del suo Paese al bilancio europeo. Il blocco di Visegrad, dal canto suo, cerca alleati che appoggino il suo rifiuto di quella che secondo Michel deve essere una delle condizioni a cui vincolare l’accesso ai fondi comunitari: il rispetto dello Stato di diritto su tutti i fronti, dai diritti fondamentali all’indipendenza del sistema giudiziario e dell’informazione.