Società

Body shaming, le violenze dei bulli uccidono. Serve un’alfabetizzazione emotiva

Non è la prima volta che succede e, purtroppo, non sarà neanche l’ultima. A Napoli una ragazza di dodici anni è finita in ospedale perché vittima di bullismo. Ha subito insulti, diretti anche contro sua madre. Ha subito minacce e l’invito a togliersi di mezzo, suicidarsi, per evitare di offendere il gusto estetico dei compagnucci violenti e sessisti.

Dalle mie parti abbiamo organizzato una #bodyliberationfront (a più round) apposta per dare spazio a immagini e racconti delle persone che vengono indotte a pensare che i corpi che sfuggono alla norma estetica dominante siano difettosi. Abbiamo parlato di body shaming, le offese che inducono a vergognarsi del corpo, e di grassofobia. Perché chi ha problemi ad accettare le differenze fisiche di altre persone impone una vera e propria pioggia di odio. E’ discriminazione bella e buona ed è talmente violenta al punto da massacrare intere generazioni di ragazze e anche di ragazzi.

Per chi devolve l’odio esistono giustificazioni di ogni tipo. Un po’ come quelli che ti dicono di non essere razzisti ma preoccupati per il benessere degli immigrati (rimandiamoli a casa). Allo stesso modo chi giustifica il body shaming nei confronti delle persone che non hanno il corpo a misura di modelle photoshoppate, irraggiungibili e alquanto irreali inventa scuse del tipo: “Lo dico per il suo bene… l’obesità è un male per la salute”.

E lo dicono non dall’alto di una laurea in medicina e di un ruolo preciso che comporta la conoscenza di disagi, misure di autostima, insicurezze, disturbi alimentari. Lo dicono dal basso del loro essere bulli e bulle, perché di insulti di questo tipo ne abbiamo letti a partire da persone di ogni sesso ed età.

Non si tratta di ragazzate. Non si tratta di comportamenti trascurabili o giustificabili. Si tratta di gente che induce al suicidio. Bulli che portano chiunque al limite con una violenza verbale e forme di persecuzione che andrebbero valutate per quel che sono. Non dimentichiamo che alle parole segue il cyberstalking. C’è chi pubblica la tua foto, inserisce un commento a scelta tra i tanti possibili che restano nel copione degli stereotipi sessisti, invita altri a perseguitare, insultare, dileggiare, minacciare.

Se non fossero persone violente e dannose per la vita altrui, di sicuro più che qualche chilo in più, potrei dire che suscitano una pena enorme. Poveri individui pieni di paura per la straripante vita e la potenza dei corpi pieni di storia, la propria storia. Poveri accattoni di attenzione con l’indice puntato su ogni traccia di cellulite nei corpi altrui. Talmente logori nel consegnare l’insicurezza ad altri al punto da dimenticare le crepe che emergono visibili da ogni poro della loro pelle. Con il cervello a pezzi che comincia a diluirsi, squagliarsi e gocciolare dalle narici e dalle orecchie.

Il punto è che questa violenza va nominata e che le vittime di questa violenza sono troppe. Imbevute dei contorti stereotipi che ti inducono a pensare che hai valore se le cosce sono levigate come marmo. Sono stata adolescente e so quanto possa fare male. Sono adulta e so che fa ancora male. Fa male quando ti dicono che se non volevi far parlare male di te non avresti dovuto respirare, esistere, attraversare gli spazi collettivi.

Un po’ come se dicessero che se non volevi essere stuprata non avresti dovuto indossare la minigonna. Un po’ come se un virus vi costringesse a restare chiusi in casa. Il punto è che a questo virus non c’è risposta ma lascia vittime delle quali frega poco a troppe persone. Se gli importasse qualcosa saprebbero che potrebbe andare meglio a partire dall’educazione al rispetto dei corpi, dei generi, del colore della pelle, di ogni forma di diversità che ci rende umani, meravigliosi e numerosi.

L’educazione a partire dalle scuole. Alfabetizzazione emotiva, sessuale, affettiva. Molto meglio che chiudergli i profili social quando hanno già fatto danni. Ne apriranno mille altri e riterranno perfino di essere vittime di “censura” e ribelli che si oppongono al “politically correct”. Educazione culturale, per rendere il mondo migliore. Con tanta solidarietà a chi soffre: non siete sole e soli. Siamo in tanti. Insieme più forti.