Politica

Anpal, nuova autodifesa di Parisi: “I 160mila euro di spese? È quello che mi spetta, non posso andare al lavoro a piedi”

Il professore della Mississippi State University chiamato da Di Maio a gestire le politiche attive del lavoro esclude le dimissioni, chieste da Italia viva, da una parte del Pd e dalla Lega. E ribadisce che "viaggiare in business" per andare negli Usa dove vive la moglie "è un diritto". La app per l'incrocio di domanda e offerta? "Il prototipo è pronto ma non mi fanno lavorare"

Nonostante le accuse arrivate dalla direttrice generale Paola Nicastro, il numero uno di Anpal Mimmo Parisi non intende dimettersi. E torna a difendere la legittimità delle spese personali per 160mila euro rimborsate dall’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. “Io mica posso andare al lavoro a piedi“, dice tra l’altro in un’intervista al Corriere della Sera commentando i 55mila euro l’anno per l’autista. Uno degli esborsi per i quali secondo Nicastro “non è mai stata fornita la richiesta documentazione”.

Quanto al fatto che la famosa app per l‘incrocio tra domanda e offerta di lavoro, attesa “entro l’estate”, non sia ancora disponibile, la colpa secondo Parisi è della stessa Nicastro e del resto dell’amministrazione di Anpal: “Sono il capo ma Paola Nicastro se ne infischia. Tutti mi bloccano. Il prototipo è pronto ma non mi fanno lavorare”.

Il professore della Mississippi State University chiamato da Luigi Di Maio a gestire quello che doveva essere il fronte più avanzato del reddito di cittadinanza, cioè appunto le politiche attive per reinserire i beneficiari nel mondo del lavoro, ribadisce che “viaggiare in business” per andare negli Usa dove vive la moglie “è un diritto” visto che “per rotte sopra le 5 ore la legge è chiara“. Nel 2019 le spese per i suoi viaggi intercontinentali pagate da Anpal sono ammontate a 71mila euro. A cui vanno aggiunti l’affitto dell’appartamento ai Parioli e rimborsi per pasti e spostamenti in Italia.

Parisi poi conferma di aver richiesto un aumento di stipendio da 160mila a 240mila euro: “Con Di Maio erano questi i patti. Gli dissi: amico mio, lascio la cattedra di una università prestigiosa e non posso rimetterci. Me li date 240mila euro? Mi rispose che non c’erano problemi. Invece poi lo stipendio è stato molto più basso. Però okay dai, non fa niente”.

Quanto alle dimissioni, chieste da Italia viva, da una parte del Pd e dalla Lega, non ci pensa: “Siete pazzi?”.