Società

Indro Montanelli, rispetto chi parla di rimozione della statua. Ma non dimentico i suoi meriti

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di Andrea Giannotti

Poche ore fa, sull’onda della rimozione delle statue dei colonialisti inglesi in Uk, è stato proposto da “I Sentinelli” di Milano di fare altrettanto con la statua di Indro Montanelli a Milano. Lo dico fin da subito, io posseggo e coltivo ideali di sinistra, una Sinistra assente da decenni (un po’ come quella Destra scomparsa dall’800). Tuttavia, questi ideali non frenano la mia profonda ammirazione per il Montanelli scrittore.

Certo, si potrebbe discorrere a lungo su un personaggio che ha rappresentato, vissuto e descritto il XX secolo, italiano ed europeo, a 360 gradi. Si potrebbe parlare dei suoi “stupidi e bellissimi vent’anni” in cui militò in quel Partito Fascista che lo mise pochi anni dopo in prigione e lo condannò (tramite il Nazismo) a morte. Si potrebbe dibattere sul suo “antifascismo scettico” e sul suo “anticomunismo” risoluto (ed essere anticomunisti all’epoca significava essere antistalinisti). Si potrebbero menzionare i suoi aiuti (sia concreti sia scritti a penna) nei confronti di molti ebrei sotto le leggi razziali.

Si potrebbe citare l’attentato subito da due brigatisti rossi, con quattro colpi di pistola alle ginocchia, a Milano durante gli “anni di piombo”. C’è di più, lo stesso Montanelli andò in carcere dai suoi attentatori e li perdonò, loro si scusarono e, anni più tardi, alla morte del giornalista, uno dei due fu l’ultimo a lasciare in lacrime la camera ardente. Si potrebbe poi ricordare il suo fervido antiberlusconismo, che gli costò “la sua creatura”, Il Giornale, e che lo eresse a “santone” (“ma io sono un liberal-conservatore!”) della Sinistra (sinistra che, votata nel 2001 dallo stesso Montanelli, riabilitava comodamente i nemici prima demonizzati).

Del più grande giornalista italiano, si potrebbe ammirare la penna schietta e perentoria o leggere i capolavori storici, come la limpida e travolgente Storia d’Italia. Si potrebbe, infine, riconoscere la sua unicità nel tuonare: “Io non lo rinnego, non nego affatto il mio passato. E ho un profondo disprezzo per gli Italiani che, essendo passati per le stesse avventure sentimentali, oggi le disconoscono. No, il fascismo va condannato, Mussolini va condannato, ma noi dobbiamo riconoscere che hanno rappresentato qualche cosa nella nostra vita, di sbagliato, ma qualche cosa”.

Proprio perché, come disse Piero Gobetti, “Mussolini e il fascismo sono l’autobiografia dell’Italia e degli Italiani”. E con le esperienze di vita bisogna farci i conti, non rinnegarle. Fu proprio in nome delle proprie esperienze di vita che Montanelli ebbe il coraggio di narrare l’episodio della sposa 12/14enne comprata in Abissinia. Lo raccontò dal 1972 (il video è ormai noto) e continuò a farlo fino ad una sua Stanza del 2000. Un episodio (unito al crudo linguaggio con cui lo narrò) che qui condanno e che rappresenta una tremenda macchia nella sua affascinante vita.

Il motivo ritardatario (tutto italiano) per la rimozione dunque sussiste, ma era davvero necessario attendere le iniziative popolari inglesi per giustificare una simile azione (legittima e che non intaccherà i prodotti dell’uomo)? Perciò, riguardo la proposta de “I Sentinelli”, mi permetto solo di commentare con le stesse parole di Montanelli pronunciate in uno dei suoi episodi della Storia d’Italia in formato video:

“Montanelli” – chiese Alain Elkann – “ma tra il ‘68 francese, il mitico Maggio di Parigi, e il ‘68 italiano, ci furono delle differenze?”. Rispose Montanelli, “Mah, la differenza che passa fra l’originale e il fac-simile. Il ‘68 nacque in Francia e in Italia fu un fatto di riporto, di imitazione, che vi fu un po’ in tutto il mondo, ma particolarmente in Italia, dove non nasce mai niente, è sempre qualcosa di imitato dagli altri”.

Ecco, mutatis mutandis, quale penso che sia la differenza che passa fra la rimozione delle statue dei mercanti di schiavi Edward Colston a Bristol e Robert Milligan a Londra e quella proposta per la statua di Indro Montanelli a Milano.

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