Economia

Usa, ok agli incentivi a fondo perduto. Ma se salta l’anello debole la catena si spezza

Quando l’economia di una nazione entra in crisi per qualche ragione è normale assistere ad una serie di interventi dello Stato a sostegno dei settori più in crisi per consentire un recupero in tempi brevi. L’intervento dello Stato può essere a “fondo perduto” cioè gratuito, oppure un “prestito” da restituire.

Nell’intervento a fondo perduto, la somma erogata non deve essere resa da chi lo riceve, si crea però un debito di lungo periodo dello Stato verso i sottoscrittori di titoli che esso emette per coprire finanziariamente quella somma. Ma come abbiamo visto nel mio precedente articolo se sono dei “Perpetual Bonds” con durate pluridecennali, essi diventano titoli sui quali si paga di fatto solo un interesse un po’ più alto di quelli correnti, senza restituire il capitale che viene invece generalmente ammortizzato dal sottoscrittore tramite la sua attività finanziaria.

Nel prestito classico invece lo Stato vanta un credito verso chi lo riceve, ma deve in questa veste assolvere un mucchio di incombenze (capacità di rimborso, affidabilità amministrativa dei soggetti richiedenti, competenza del management, analisi settoriali, garanzie a tutela del credito, ecc.) per le necessarie analisi creditizie e di idoneità, che comportano comunque, soprattutto in termini di tempo (che in questa crisi non c’è), un elevato costo.

Negli anni 70 l’Italia ha usato questo tipo di incentivo finanziario per stimolare lo sviluppo industriale nel Sud Italia costituendo la Cassa del Mezzogiorno che erogava, con fondi dello Stato, contributi fino al 70% dell’importo dell’investimento (di cui 40% a fondo perduto, cioè regalati, e 30% in conto interessi, cioè dimezzando all’incirca il tasso di interesse bancario, che a quei tempi arrivava fino al 10% e oltre).

Ho speso qualche riga per spiegare come funziona sommariamente una agevolazione statale che, a seconda del tipo di agevolazione concessa dallo Stato (in conto capitale, in conto interessi, sconto sulle tasse, ecc.) necessita però sempre di una complessa analisi che lo Stato (o le banche da esso incaricate) esige per erogare le agevolazioni finanziarie (adesso li chiamano anche “stimoli”) alle condizioni dettagliatamente descritte in apposite leggi o decreti.

Si capisce subito però che gli “stimoli” necessari ad uscire dalla crisi del Covid-19 sono tutt’altra cosa e necessitano di interventi praticamente immediati. Dopo più di un mese dall’inizio della pandemia – quando prima in Cina, poi in Europa, poi in America e nel resto del mondo, con una rapidità micidiale, tutte o quasi le produzioni industriali, e i conseguenti commerci, si sono fermati per evitare ai dipendenti il tremendo contagio – gli effetti di questi stop si sono manifestati in tutta la loro gravità.

Uno degli episodi più vistosi è stato quello del prezzo del petrolio, sceso fino all’assurdo di -30 dollari al barile. Sì, negativo! Il prolungato fermo globale di quasi tutte le attività ha provocato il riempimento di tutti i depositi mondiali di greggio (cisterne, navi, ecc.) e, piuttosto che fermare l’estrazione, costava meno pagare chi veniva a prenderselo!

Questo succedeva il mese scorso. Adesso che (in Italia) è finita la quarantena non bisogna però illudersi che le economie torneranno subito a girare come prima. Intanto i contagi, nonostante la lunga chiusura delle attività, non sono ancora finiti, e poi alcune grandi economie sono ancora in piena “burrasca”. Gli Usa per esempio, pur avendo già stanziato 3mila miliardi di dollari ed averne già spesi quasi la metà sia a sostegno diretto delle imprese che “a pioggia”, versando 1.200 dollari a testa ad ogni cittadino Usa, hanno previsioni tutt’altro che rosee.

Un economista di J.P. Morgan avvisa infatti che questo “stimolo” potrebbe finire i suoi benefici già in luglio. Un altro “giro” di stimoli è inevitabile, nessuno si illude che a luglio gli effetti di questa tempesta siano già completamente riassorbiti. Ora anche Trump e i suoi aiuti ne sono convinti, ma ognuno propone una “medicina” diversa.

Sembra che solo quelli del partito Democratico pensino anche ai lavoratori e alla gente qualunque, chiedendo, al più tardi per settembre un nuovo stimolo “a pioggia” nelle tasche di tutti. E hanno ragione anche sul piano economico, perché (come abbiamo visto sopra) questo denaro entra subito in circolo e va a raggiungere, in modo indiretto, ogni settore dell’economia.

Possibile che non ci sia in Europa un equivalente del partito Democratico americano? In fondo, è la stessa teoria del capitalismo, rovesciata. Se è vero che i ricchi spendendo le loro fortune a loro piacimento fanno arrivare col loro consumo un po’ della loro ricchezza anche agli altri, è vero anche che se ai poveri e ai disoccupati dai soldi da spendere nel momento in cui non ne hanno, quei soldi consentiranno ad un negozio di non fallire, quel commerciante rinnoverà le sue scorte acquistando da un produttore, che potrà riassumere i lavoratori licenziati, ecc. ecc.

Questo non può accadere in crisi profonde come questa, dove gli stimoli vanno dati a tutte le categorie colpite dalla crisi e tutti, possibilmente, a “fondo perduto”. Ma sicuramente deve essere a “fondo perduto” lo stimolo alla categoria più debole della catena economica, quella delle famiglie con reddito sotto ad una certa soglia che, se sorretto in modo insufficiente, può esacerbare fino alla rivolta (come sta accadendo in questi giorni negli Usa dove la motivazione razziale, benché concreta, non è l’unico motivo).

Se salta l’ultimo anello della catena economica, quello più debole, la catena si spezza, e riallacciarla potrebbe rapidamente diventare impossibile.