Calcio

Coronavirus, anche la Serie A femminile aspetta di riprendere. Ma il punto non è solo la sicurezza

di Giuseppe Berardi

Per il calcio femminile queste sono ore decisive. C’è molta attesa per conoscere quale sarà la decisione in merito al campionato di Serie A Femminile, l’unica categoria del calcio in rosa, che non ha interrotto definitivamente la stagione 2019/20.

Il Consiglio Federale della Figc, che si è tenuto la settimana scorsa, ha espresso la volontà di concludere sul campo le competizioni nazionali professionistiche, ovvero Serie A, B e C maschili, fissando al 20 agosto 2020 la data ultima di chiusura per tali campionati. Pur non essendo un torneo professionistico, alla Serie A Femminile è stata concessa la possibilità di verificare se ci sono le condizioni per una ripresa, con particolare attenzione all’applicabilità dei protocolli sanitari e di valutare eventuali disponibilità economiche a supporto delle piccole società. Non c’è ombra di dubbio che l’aspetto finanziario, in casi del genere pesa. L’attuazione dei protocolli, così per come sono stati concepiti per il mondo del calcio, sono decisamente onerosi per quelle società che non hanno alle spalle i club maschili.

Nella Serie A femminile ci sono infatti quattro club – Pink Bari, Florentia San Gimignano, Tavagnacco e Orobica Calcio Bergamo – che non hanno nessun legame con società di calcio maschile. Sono semplici società sportive dilettantistiche ma che da anni portano avanti nella loro regione progetti importanti di sostegno e sviluppo della pratica calcistica tra le donne.

La presidente della Divisione Calcio Femminile, Ludovica Mantovani, al termine del Consiglio Federale aveva parlato di “opportunità” per il calcio delle donne, che si traduce nella speranza di poter terminare sul campo le sei giornate rimaste ancora da giocare.

È chiaro che la sicurezza delle calciatrici e di tutti gli addetti ai lavori è una priorità. Di conseguenza le regole per scendere in campo devono essere uguali sia per gli uomini che per le donne. Nessuno vuol sentire parlare di protocolli diversi. La stessa Mantovani lo ha ribadito di recente.

Anche Sara Gama, capitano della Nazionale e della Juventus e consigliere dell’Associazione Italiana Calciatori, è intervenuta sul tema ribadendo con fermezza che le calciatrici si aspettano pari tutele sanitarie dei colleghi uomini.

In Italia però la differenza principale tra calciatori e calciatrici è lo status: i primi sono professionisti, le seconde dilettanti. Ecco quindi che torna di forte attualità il tema legato al professionismo nel calcio femminile. Ne ha parlato anche il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, che pubblicamente ha affermato che il professionismo per il calcio femminile sarà uno dei temi della legge delega sullo sport.

L’entusiasmante mondiale disputato dalla Nazionale Italiana in Francia lo scorso anno aveva acceso i riflettori sulla possibilità di poter arrivare, in tempi più o meno brevi, al riconoscimento per una calciatrice di “atleta professionista”. Che poi quello che conta davvero per le giocatrici, attenzione, non è lo stipendio. Loro non chiedono parità salariale o compensi elevati, ma tutele e garanzie. Contributi pensionistici, assicurazioni, ferie, trattamento di fine rapporto e tutto quello che un contratto di lavoro può garantir loro. Perché è innegabile che giocare a calcio per una tesserata di Serie A sia un lavoro a tempo pieno. Naturalmente tutto questo comporta una certa sostenibilità. Le società dovranno essere in grado di poter far fronte alle spese per il personale tesserato.

Nel dicembre scorso un emendamento alla Legge di Bilancio, presentato dai senatori Tommaso Nannicini e Susy Matrisciano, ha aperto uno spiraglio verso il professionismo, anche se solo da un punto di vista economico. Perché attribuire lo status giuridico di “professionista” spetta alla Federazione sportiva di appartenenza secondo la legge 23 marzo 1981, n. 91. Nel caso del calcio alla Figc.

L’emendamento ha introdotto un esonero contributivo al 100% per tre anni, fino a un tetto di 8mila euro, per le società sportive femminili che stipulano con le atlete contratti di lavoro sportivo ai sensi della sopra citata legge 91 dell’81.

Prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, un’apertura nei confronti del professionismo per le donne era venuta anche dal presidente federale Gabriele Gravina, che si era detto favorevole al cambio di status per le calciatrici, ma graduale e a partire dai prossimi anni.

Intanto tra oggi e domani si attende una risposta definitiva sul prosieguo del campionato. Riprendere a giocare, al pari dei colleghi uomini, sarebbe già un passo importante, considerando anche il fatto che in Europa ci sono stati già dei verdetti importanti. Tre dei quattro principali campionati calcistici femminili europei hanno deciso di non riprendere a giocare e decretare conclusa la stagione. La prima a farlo è stata la Francia, poi la Spagna e infine notizia di pochi giorni fa, anche l’Inghilterra, con effetto immediato, ha messo la parole fine alla FA Women’s Super League 2019/20. Controcorrente la Germania, dove la Frauen Bundesliga ripartirà il prossimo weekend.

Lunedì si è svolto un importante direttivo della Divisione Calcio Femminile dove sono stati discusse le linee guide per un’eventuale ripresa e sono stati messi sul piatto dei fondi a sostegno dei piccoli club. La palla ora passa alle società per trovare una decisione che soddisfi tutti, senza mettere in alcun modo a rischio la salute della atlete.

Il tempo stringe, prima del 14 giugno le attività agonistiche non possono riprendere e il 20 agosto la stagione dovrà per forza di cose concludersi. Se ripresa sarà, l’ipotesi più probabile è che questa avvenga a luglio.