Cronaca

Coronavirus, a Bergamo morti due dipendenti delle Poste. Cgil: “Chiudete gli uffici postali”

Nella provincia più colpita d'Italia, alle oltre trecento vittime si aggiungono due lavoratori in servizio fino a pochi giorni fa, visto che si tratta di un "servizio essenziale". I sindacati denunciano "l'inutilità di esporre al contagio i lavoratori"

Con 3.760 casi- 344 solo nelle ultime 24 ore – Bergamo è la provincia più colpita dall’emergenza coronavirus, “l’epicentro del contagio” come l’ha definita il sindaco Giorgio Gori. Le vittime sono già 1.420, a cui si aggiungono, oggi, due lavoratori delle Poste Italiane. Entrambi – racconta Marisa Adobati, componente della segreteria della Slc-Cgil di Bergamo – avevano lavorato fino a pochi giorni fa, uno in un centro di recapito e l’altro in un ufficio postale di due comuni della provincia. Le Poste, infatti, sono tra i “servizi essenziali” previsti dal decreto del 12 marzo, perciò tra le strutture che rimangono aperte al pubblico, tra le proteste dei sindacati: “Ora basta, è ora di chiudere gli uffici postali”.

I luoghi di lavoro sulle due vittime sono stati sottoposti a sanificazione: “Come se questo bastasse a tutelare i colleghi”, commenta Adobati. Da alcune settimane la Cgil sostiene “l’inutilità di esporre al contagio i lavoratori di Poste Italiane della bergamasca, ovviamente non solo del nostro territorio, e ci viene ripetuto in maniera assillante che Poste deve garantire i servizi essenziali“. Ma il volume della corrispondenza, prosegue, è molto diminuito. “Il recapito di un bollettino o la marea di avvisi di mancata consegna delle raccomandate – prosegue il sindacato – non crediamo siano da considerarsi espletamento di servizi essenziali. Molte scadenze fiscali ed invii di notifica sono stati, tra l’altro, sospesi per decreto”. Il punto, conclude, è che andare alle Poste “per molti è diventato il pretesto per fare una passeggiata in paese“, a volte non necessaria, ma sempre “giustificata”.

Oggi Bergamo è una città listata a lutto, con i necrologi sul giornale che vanno avanti per nove, dieci pagine. Tra i tanti “morti sul lavoro” da Covid-19 anche un operatore del 118 di 47 anni, Diego Bianco, e un’ostetrica di 58 anni, Ivana Valoti, che lavorava a Alzano Lombardo. L’assessore all’Innovazione e ai Servizi cimiteriali, Giacomo Angeloni, dice che “i decessi sono quintuplicati, c’è una sepoltura ogni mezz’ora”. Deceduto anche il sindaco di Cene, Giorgio Valoti, di 70 anni. Positivo anche il primo cittadino di Nembro, uno dei focolai più attivi insieme al comune di Alzano.

Ma adesso, più che i morti, preoccupano le corsie degli ospedali, dove la situazione è ormai al collasso. Appena due giorni fa, un anestesista dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, Ivano Riva, ha lanciato l’allarme: “I numeri crescono di giorno in giorno, di ora in ora. Se continueremo a questo ritmo, reggeremo pochissimo“. Ieri sono arrivati i rinforzi: 27 medici militari e 4 infermieri, in supporto ai militari. “Questa è una malattia estremamente virulenta, contagiarsi è facile – racconta sulla Stampa Lorenzo Grazioli, un altro anestesista e rianimatore dell’ospedale – I primi erano grandi anziani, piano piano sta diminuendo l’età. Vedo tanti uomini anche di quarant’anni“.

Nell’ulteriore tentativo di ridurre al minimo gli assembramenti, il sindaco Giorgio Gori ha deciso di spegnere il wi-fi comunale, disponibile nelle piazze e nei giardini pubblici, perché radunava capannelli di persone, soprattutto giovani. L’annuncio sui social , con un commento a lettere maiuscole: “Come diavolo dobbiamo spiegarlo che bisogna stare a casa ed evitare tutti i contatti sociali non essenziali??!!”.