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Coronavirus, gli expat in Svezia: “Vorremmo essere in Italia. Lo Stato tace su posti di terapia intensiva e non chiude niente. Abbiamo paura”

Gli italiani in Svezia hanno scritto al governo di Stoccolma perché prenda misure per affrontare l'epidemia, guardando anche all'Italia. "Parlano del nostro Paese come se fosse terzo mondo. Le scuole restano aperte e non hanno risorse per rispondere a un'epidemia di massa", dice Alessandra, dottoranda a Örebro. Per l'epidemiologo Gaetano Marrone il modello è quello del Regno Unito: "Hanno precisato che non dichiareranno più quanti posti letto sono disponibili in rianimazione". Silenzio anche su mascherine e materiale sanitario. E c'è chi come Cristina, invalida, è rimasta bloccata senza potere tornare a casa: "Rischio di non avere possibilità di cure. Qui vanno contro le raccomandazioni dell'Oms"

“Qui in Svezia non mi sento al sicuro, lo sarei in Italia dove per fortuna c’è la mia famiglia. Ci sono mille contagiati, ma i tamponi li fanno soltanto a chi è ricoverato ed è sintomatico. Questo nonostante l’Oms abbia detto che sia importante mappare i casi. Non sappiamo neanche quanti siano i posti letto in terapia intensiva: abbiamo trovato solo uno studio del 2012 che parla di 680, in un paese con 10 milioni di abitanti ma molto più esteso dell’Italia”. Alessandra Paiusco è di Padova, ha 28 anni e dal 2017 vive in Svezia. Parla dalla sua casa di Örebro, dove lavora come dottoranda in scienze politiche all’Università. La sua famiglia è a Padova, e sua nonna ha 87 anni, “ma loro si sono quarantenati da subito”. All’inizio della settimana scorsa ha iniziato a fare didattica online. Ha insistito lei con la sua università perché venissero sospese le lezioni e le ‘fika’, coffee break di rito tra colleghi (“se non partecipi non sei visto di buon occhio”, dice).

L’epidemiologo: “La Svezia come il Regno Unito” – La sua preoccupazione è quella di tanti expat italiani che vivono in Svezia, conferma Gaetano Marrone, epidemiologo del Karolinska Institutet di Stoccolma, tra gli istituti di ricerca in medicina più importanti al mondo. “La Svezia, anche se non lo dice, credo si ispiri al modello inglese – dice, facendo riferimento all’immunità di gregge invocata da Boris Johnson convinto, almeno finora, che la vita nel Regno Unito debba procedere ‘as usual’-. Non stanno limitando gli spostamenti delle persone in età lavorativa né prendendo provvedimenti. Non sono stupidi – continua -: pensano che la malattia colpisca gli anziani in maniera più grave, stessa idea che ha Londra. Gli expat qui sono molto in ansia perché sanno cosa è successo in Italia, mentre la Svezia si comporta come abbiamo fatto noi fino a poco fa con la Cina. Se non c’è lo tsunami di contagi non si preoccupano”. A inquietare gli expat anche la mancata comunicazione delle cifre del contagio. “Il governo ha detto che non comunicheranno più quanti posti ci sono in terapia intensiva e quanti né stanno creando, né i numeri relativi a ventilatori, mascherine, respiratori e materiale sanitario”. E anche Marrone conferma che gli ultimi dati sui posti in rianimazione risalgono proprio allo studio del 2012.

La lettera degli italiani al governo di Stoccolma – Una strategia del silenzio che il 12 marzo ha spinto Alessandra, insieme a tanti altri italiani che vivono in Svezia, a scrivere una lettera al governo di Stoccolma per chiedere provvedimenti e chiarezza sull’epidemia di coronavirus che ora, ufficialmente, ha registrato 1001 contagiati e 6 morti. Spiegano che la Svezia oggi è nella situazione in cui si trovava l’Italia “3-4 settimane fa”, ricordano che Norvegia e Danimarca hanno già preso provvedimenti, spiegano che gli expat sono preoccupati di non ricevere tutte le informazioni necessarie dal sistema sanitario nazionale visto che spesso sono solo in svedese. Chiedono che anche la popolazione indigena Sami, che come tale è tra le fasce di popolazione più esposte alle epidemia, sia messa al corrente della situazione e che l’Italia sia vista come un modello per il contenimento dei contagi. Anche se per l’Oms è già pandemia, non sono state prese misure – ad eccezione dei divieti di raduni con più di 500 persone – ma sono uscite soltanto linee guida che consigliano di non fare visita agli anziani, di stare a casa se si hanno sintomi, e quarantena fiduciaria per chi torna dall’estero, oltre al telelavoro per chi vive nell’area di Stoccolma. Le scuole restano aperte, così come bar e negozi.

Lo scontro istituzionale – A fare il punto agli svedesi ogni giorno sull’avanzamento del contagio è l’epidemiologo di Stato Anders Tegnell: nei giorni scorsi, parlando a Sveriges Radio ha detto che puntare a conoscere il numero esatto dei casi di coronavirus non ha senso, visto che è meglio concentrarsi sui gruppi più vulnerabili, già ricoverati e sintomatici. Ha anche attaccato l’Italia, dichiarando che “il sistema sanitario svedese ha prerogative decisamente migliori” nel gestire la diffusione dell’epidemia. Gli ha risposto l’Ambasciatore in Svezia, Mario Cospito, che ha ricordato a Tegnell che “sia il WHO, sia l’Unione Europea, anche attraverso l’Agenzia di Prevenzione delle Malattie Infettive di Stoccolma (ECDC) hanno sempre manifestato pieno apprezzamento sulle azioni svolte dall’Italia” nell’affrontare la sfida del contagio. E ha aggiunto: “La sfida al COVID-19 non è una partita di calcio, né sugli spalti si vedono opposte tifoserie che sperano nella vittoria della propria squadra: è una sfida comune ed epocale per garantire la salute di tutti, dove il “migliore” sono le migliaia e migliaia di medici, infermieri ed operatori sanitari che in Italia stanno lavorando 24 ore al giorno, 7 giorni su 7″.

“Italia citata come fosse un Paese del terzo mondo” – “Tegnell continua a dire che l’Italia è in emergenza perché è arrivata tardi – prosegue Alessandra – e cita il nostro Paese chiamandolo ‘quel posto’, come se fosse terzo mondo. Credo che qui in Svezia stiano sottovalutando il pericolo. Il problema non è che cadremo stecchiti, ma che non abbiamo risorse per rispondere a un’infezione di massa. In tanti pensano che in fondo la Svezia sia un’eccezione alla regola”. Niente precauzioni anche nei centri anziani: “La sorella del mio fidanzato – precisa – lavora part time in una casa di riposo. Non le hanno dato mascherine, solo detto di lavarsi le mani”.

(foto: Università di Örebro deserta)

“Ci lasciano nell’incertezza” – Nonostante manchino misure ufficiali, i timori tra i cittadini, e non solo italiani, crescono. “Paracetamolo e carta igienica cominciano a scarseggiare, ma non credo che chiudano le scuole. Vogliono che la gente non vada nel panico. Gli italiani però, sono preoccupati. “Tegnell le ha sbagliate tutte – dice Giada, italiana che vive vicino a Stoccolma -. Prima ha detto che il virus non sarebbe uscito dalla Cina, poi che non sarebbe arrivato in Svezia, che non avrebbe superato i cento casi e che l’Italia non è la migliore nella gestione. Anche qui c’è l’assalto ai supermercati, mascherine e gel sono finiti da parecchio. Ma se il governo dice una cosa, quella si fa. Le scuole non sono chiuse, la decisione è presa a livello comunale. Quindi i bimbi possono essere considerati assenti ingiustificati”. Ma già oggi ad Alessandra segnalano che alcune scuole, e non sono l’università, sono vuote o quasi. “Le persone iniziano ad avere paura. Non capisco perché ci lascino nell’incertezza. Forse, visto che abbiamo la corona e non l’euro, non vogliono fare credere che sarà un disastro economico“. E c’è anche chi in Svezia è rimasto bloccato come Cristina, che dal 2016 è invalida. “Sono qui da due mesi, è stato tutto velocissimo e non mi aspettavo di non potere tornare a casa. Al momento non sembra che possano esserci voli, non sappiamo cosa fare”. Anche per lei “la Svezia non sta facendo niente per proteggere i cittadini e i pazienti a rischio hanno paura. È un paese che non ha i mezzi per fronteggiare quello che sta passando l’Italia ora. Ci sono pochissime terapie intensive. Le agenzie governative come l’unità di crisi e l’agenzia per la salute pubblica stanno dando informazioni e consigli ai cittadini che vanno contro quelle che sono le raccomandazioni dell’Oms“. D’altra parte, conclude, “io non so se affrontare un viaggio di ritorno che potrebbe mettermi a rischio o rimanere qui nel dubbio di non potere essere curata”.

(nella foto: il primo ministro Stefan Lofven)