Diritti

8 marzo, in Italia le politiche anti-violenza sulle donne sono un ‘vorrei ma non posso’. Per questo lanciamo una campagna

L’8 marzo DiRe – donne in rete contro la violenza, lancia la campagnaViolenza sulle donne. In che Stato siamo?” per una completa attuazione della Convenzione di Istanbul. L’obiettivo della campagna è far conoscere le raccomandazioni del Grevio – il gruppo di esperte sulla violenza contro le donne – che ha il compito di vigilare sulla corretta applicazione della Convenzione da parte degli Stati che l’hanno ratificata (qui in sintesi le raccomandazioni). Il 13 gennaio scorso, dopo due anni di monitoraggio, il Grevio ha pubblicato un rapporto nel quale indica che cosa deve fare l’Italia per rendere efficace la risposta contro la violenza maschile sulle donne. Purtroppo il nostro Paese non ne esce bene.

La politica italiana potrebbe essere sintetizzata con “vorrei ma non posso” perché ci sono ancora molte resistenze che impediscono un efficace contrasto alla violenza contro le donne fino alla vittimizzazione secondaria e alla violenza istituzionale. Sono sempre più numerose le donne che denunciano pubblicamente di aver perso l’affidamento dei figli o di vivere sotto la continua minaccia di perderne l’affidamento proprio quando chiedono aiuto allo Stato per aver subito violenza.

I nostri tribunali dovrebbero garantire i diritti delle donne invece nei luoghi d’elezione della giustizia non si rispetta la Convenzione di Istanbul. I giudici hanno abdicato al loro ruolo e delegano sempre più spesso la decisione sull’affidamento dei figli a Ctu – Consulenti tecnici d’ufficio, privi di formazione adeguata e incapaci di distinguere il conflitto dalla violenza o, peggio, si tratta di professionisti ideologicamente orientati dalla teoria della cosiddetta alienazione parentale, un costrutto pseudo-scientifico definito spazzatura dalla comunità scientifica internazionale.

La Pas, o Ap e i molteplici costrutti con la quale viene nominata, non è mai stata inserita come patologia del DSM-V e recentemente è stata rigettata anche dall’Icd-11, la classificazione internazionale delle malattie, eppure continua ad essere riconosciuta in alcuni tribunali civili. Di fatto la alienazione parentale è una profezia che si autodetermina. Se non si prende in considerazione il maltrattamento e tutte le conseguenze della violenza assistita, il rifiuto o la paura del padre da parte dei figli, sono inevitabilmente spiegati con la manipolazione materna. Se l’istituzione, più o meno inconsapevolmente, si presta a realizzare la minaccia di uomini che commettono violenza in famiglia: “ti toglierò i figli se mi lasci”, siamo di fronte ad una gravissima violazione dei diritti delle madri e anche dei diritti dei bambini. Siamo di fronte alla violenza istituzionale.

Un altro dei segnali di questo tentativo di resistere al cambiamento di una culturale che alimenta disparità tra i generi, riguarda ciò che è avvenuto nell’ambito scolastico con pressioni fatte per boicottare attività educative sul tema degli stereotipi e pregiudizi sessisti, e nelle università sono stati delegittimati gli studi sulle questioni di genere. Nel 2012 un’indagine presentata all’Università di Roma Tre rivela che solo 16 università pubbliche su 57 mettevano a disposizione almeno un corso in Studi di Genere rappresentando lo 0,001 % dell’offerta formativa. Nel 2018, dopo anni di volantinaggio contro la teoria del gender da parte di preti o genitori, che paventavano l’insegnamento della masturbazione dei bambini alle elementari e altre delirati narrazioni, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) diffuse una circolare nella quale si imponeva nelle scuole il consenso informato dei genitori per ogni attività extracurriculare.

Un’altra fonte di forte preoccupazione è stato il ddl 735 in materia di affido condiviso meglio conosciuto come ddl Pillon che “se fosse stato approvato, avrebbe comportato gravi regressioni nella lotta contro le disuguaglianze tra i sessi e privato i sopravvissuti alla violenza domestica di importanti misure protettive”. Per questo, nel rapporto, si invita l’Italia a valutare l’impatto delle leggi sulle relazioni tra uomini e donne e anche sulla violenza contro le donne e a rispettare la Convenzione di Istanbul. Inoltre esiste una tendenza a “riorientare la parità di genere in termini di politiche per la famiglia e per la maternità”.

(Condividi questo video e leggi qui le raccomandazioni https://tinyurl.com/uzjetfy)

Che la famiglia debba restare unita ad ogni costo con l’applicazione indiscriminata della bigenitorialità anche in presenza di padri cocainomani, alcolizzati, violenti, che le mogli siano subordinate ai mariti, che le donne mentano in quanto donne, sono pregiudizi e stereotipi striscianti che resistono nei servizi sociali, nella forze dell’ordine, nei tribunali, impedendo una corretta lettura delle situazioni di violenza, una tempestiva individuazione delle situazioni di violenza e una protezione adeguata alle donne e ai loro figli. Tutto questo mentre i luoghi che accolgono le donne che vogliono uscire dalla violenza, i centri anti-violenza, continuano ad avere enormi difficoltà nel ricevere i finanziamenti che sono previsti.

Eppure i dati parlano chiaro. In Italia una donna su 3 ha subito almeno un episodio di violenza nel corso della vita e delle 133 donne uccise nel 2018, l’81,2% è stata uccisa da una persona conosciuta. In particolare, nel 54,9% dei casi dal partner attuale o dal precedente (dal partner attuale 47,4%, corrispondente a 63 donne, dal partner precedente 7,5%, pari a 10 donne), nel 24,8% dei casi (33 donne) da un familiare (inclusi i figli e i genitori) e nell’1,5% dei casi da un’altra persona che conosceva (amici, colleghi, ecc.). Il violento ha le chiavi di casa eppure le donne che denunciano la violenza da parte del partner non ottengono misure di protezione efficaci, non sono credute nelle aule dei tribunali e sempre più spesso, rischiano di perdere i figli nelle cause di separazione mentre il numero dei femminicidi rimane costante nel tempo.

A partire dall’8 marzo, D.i.Re si impegnerà per tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica, dei media e delle istituzioni perché siano accolte le raccomandazioni del Consiglio d’Europa e sia assicurata una adeguata prevenzione, protezione e un contrasto efficace alla violenza maschile sulle donne.

Ogni mese per un intero anno, la campagna Violenza sulle donne. In che Stato siamo? chiederà al governo di rispettare le raccomandazioni del Grevio su dodici aree tematiche: impatto di stereotipi e sessismo, discriminazioni multiple e intersezionalità, credibilità delle donne nei processi e vittimizzazione secondaria, disconoscimento della violenza in separazione e affido, misure di prevenzione e procedimenti penali, raccolta dati, riservatezza e protezione, violenza assistita a condizione dei minori, condizione delle donne migranti richiedenti asilo e rifugiate, politiche integrate e finanziamento dei centri anti-violenza e delle casa rifugio, formazione di operatori e professionisti, sensibilizzazione, educazione e cambiamento culturale, responsabilità dello Stato e risarcimenti.

D.i.Re verificherà i risultati della campagna e li renderà noti l’8 marzo del 2021, “perché le donne vogliono un impegno concreto” dallo Stato italiano.

@nadiesdaa