Cinema

Volevo nascondermi, il ruggito dell’arte firmato Giorgio Diritti e Elio Germano

Fu un artista borderline Antonio Ligabue, diremmo oggi. Cresciuto in Svizzera tra incomprensione per la sua fragilità e gli alienanti istituti d’igiene mentale nei primi decenni del novecento, poi il trasferimento nella sua originaria Emilia di Gualtieri, una terra dai confini lombardi che gli ha regalato l’incontro con l’amico scultore Andrea Mozzelli. Giorgio Diritti ha presentato il suo Volevo nascondermi, dove protagonista assoluto è Elio Germano che marchia quest’opera potentissima con tutto il suo corpo d’attore. Era un artista con l’urgenza di esprimersi e creare Ligabue. Anton per gli svizzeri, Toni per i compaesani emiliani. Magro, e repellente nell’aspetto, povero come un barbone, l’Antonio di Diritti adora i bambini perché anime pure, affini alla sua. E loro ne erano attratti, con sguardi curiosi mentre si sbracciava tra i suoi riti creativi o intimoriti, o per bullizzarlo perché diverso da ogni adulto. L’aspetto di un orco, la scorza coriacea, ma la sensibilità di un’anima sempre in balìa di un processo creativo pieno di rituali contro tele ancora bianche e contro persone dagli influssi negativi.

Tigri, volpi, leopardi in una natura rigogliosa e autoritratti in mezzobusto che ricordano certi tratti di Gaugin e Van Gogh, ma anche alcune opere pittoriche dell’estremo oriente popolano i quadri preferiti dello stesso Toni. Ma i suoi pennelli erano bagnati dal Po, e quella natura selvaggia e misteriosa di deserte spiagge fluviali e boscaglia mediterranea dell’Emilia Diritti la cattura con la macchina da presa, restituendocele come anello di congiunzione per questi parallelismi esotici. I colori di questo film trionfano in ogni inquadratura. L’occhio del regista sfiora il suo rapporto con le donne sospeso tra desiderio e timore. Scava in primissimo piano volti tra riflessione e inquietudini riuscendo nel miracolo di renderci questo burbero figuro persino tenero al di là di qualsiasi frenesia. Salti di luce seguono armonicamente i flashback, i bui di Antonio nascosto in un sacco, la fotografia dagli stili cangianti a volte appanna i bordi dello schermo come soggettive di un protagonista non lucido, e in uno sguardo si scombina tutto per insaccare lo spettatore stesso nella follia di Ligabue.

Arte è paura o coraggio di farla scorrere nascondendocisi dentro? Farsi sovrastare dal colore, dalla natura, dalla paura e dal coraggio insieme sono forze che si liberano nelle grida di un Germano magistrale. Il suo Toni ha un “diavoletto nella testa”, a volte si muove come un pollo ma ruggisce sempre come una tigre. Il resto è contorsione, trasformazione, lavoro certosino su corpo e voce e un sentire profondissimo rivolto all’umanità del suo personaggio. Si circonda di felini iconografici e volatili da cortile l’attore per il miglior ruolo della sua galleria di personaggi. Osa facendo suoi i tic del pittore presenti in un vecchio documentario Rai e trasforma la vita dolorosa e creativa di un artista in esigenza febbrile di raccontare una storia di passione. La sua lingua si declina a un farfugliante tedesco che riemerge tra un bofonchiare emiliano stretto. Nulla è riconoscibile dell’attore. È Germano che si nasconde in Ligabue prestandogli vita e arte.

In Italia esce al cinema il 27 febbraio, Volevo nascondermi. Parla in modo tutto suo di pregiudizio e diversità, ruralità e modernità, di fiducia e amicizia tra due artisti. Racconta la parabola scomoda di un eroe bello dentro ma brutto fuori e ci mostra la filtrazione della realtà in quadri e sculture. È in concorso al 70° Festival di Berlino. Vincerà qualcosa? Meriterebbe ampiamente premi importanti. A prescindere, la storia lo accoglierà tra i film indimenticabili sulla vita di un pittore.

[Ph Chico De Luigi]