Cultura

Scoprire la meditazione e il silenzio per non esser sordo all’ascolto dell’altro

In un mondo dominato da una comunicazione rapida e incalzante, hanno ancora senso la preghiera e la lettura della parola di Dio? È l’interrogativo che sta alla base del nuovo libro di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il volume si intitola La preghiera, la parola, il volto (San Paolo) e racchiude un vero e proprio percorso alla scoperta della meditazione e del silenzio nel mondo globale, in cui l’uomo è perennemente connesso ma molto spesso sordo all’ascolto dell’altro.

Quello che apparentemente può, infatti, sembrare un tema anacronistico viene invece sviluppato da Riccardi con la consapevolezza dello scenario attuale in cui il credente, ma anche il non credente, è chiamato quotidianamente a confrontarsi con le grandi domande sul senso dell’esistenza umana.

Tutto parte da un incontro molto semplice, ma assai determinante. “In una casa di riposo, – scrive Riccardi – una donna anziana, malata in modo grave, un giorno mi ha detto con espressione sconsolata: ‘Io non so pregare. So solo tre preghiere… ma ho bisogno di pregare e di essere aiutata da Dio’. Sono rimasto colpito dalla spontaneità dolorosa di quelle parole. Mi è tornata alla mente la richiesta dei discepoli a Gesù: ‘Signore, insegnaci a pregare’. C’è una grande domanda tra gli uomini e le donne del nostro tempo: trovare le parole e la maniera di pregare. Eppure nella vita, la gente prova fatica a pregare e si sente spesso come di fronte a un grande silenzio”.

Un’esperienza che, come è noto, dovette affrontare anche la grande santa dei poveri, madre Teresa di Calcutta. Ma non solo. Essa, infatti, ritorna in diverse biografie dei santi. “Questo silenzio, il silenzio di Dio – scrive Riccardi – mette in risalto il balbettio della preghiera che sembra troppo elementare e soprattutto incapace di raggiungere il Signore. Una preghiera povera s’incontra con quella che appare come un’incombente mancanza di risposte da parte del Signore. È indifferenza all’invocazione? Assenza? Qual è il significato?”.

Per il fondatore della Comunità di Sant’Egidio “si finisce talvolta per sfuggire al mondo della preghiera, quasi per evitare una situazione imbarazzante, in cui donne e uomini adulti si scoprono un po’ infantili. Quasi ci si sente posti di fronte alla propria inadeguatezza che s’intreccia con tanti interrogativi su Dio”.

Riccardi è convinto che “nel linguaggio rapido della comunicazione del nostro tempo, la mancanza di risposte immediate non solo rivela scortesia, ma manifesta un diniego. Il ‘mondo’ della preghiera non ha un linguaggio simile a quello della comunicazione quotidiana con risposte rapide, anche se poi non è così lontano dai moduli espressivi della gente comune. Non è, per questo, un ‘mondo’ vuoto, anche se è popolato di silenzi. Ci sono parole, presenze, riferimenti, volti, assieme ai silenzi”.

Tornano alla mente le parole struggenti pronunciate da Benedetto XVI, nel 2006, nel campo di concentramento di Auschwitz: “Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa”.

Nel suo libro, Riccardi sottolinea anche come “dopo il Concilio, pur essendo cresciuto l’amore per la Bibbia, non si è ancora affermata nel popolo quella che chiamerei la devozione per la Sacra Pagina: prendere in mano con familiarità, ascoltare con fede e leggere con gioia la parola di Dio”. L’autore sottolinea l’importante decisione di Papa Francesco di istituire, ogni anno, la domenica della parola di Dio recependo così un’esigenza profondamente “radicata nel vissuto della Chiesa del post Concilio”.

C’è anche uno sguardo ecumenico della preghiera che il fondatore della Comunità di Sant’Egidio focalizza affrontando in particolare il mondo dell’iconografia orientale. “Le icone – scrive Riccardi – sono volti che si rivolgono a donne e uomini che cercano. Così sono state vissute nei momenti del dolore, dell’invocazione, nei tempi della ricerca di Dio. Ancora oggi sono percepite in questo modo da tanti, in Oriente e in Occidente, anche se la loro storia non è la stessa”.