Ambiente & Veleni

Manifesto di Assisi, per un’economia in grado di affrontare la crisi climatica: “La politica è più indietro delle realtà produttive e sociali”

Il documento ha raccolto 1.800 adesioni tra cui rappresentanti del mondo dell'impresa. Oggi l'avvio dei lavori per tracciare una road map, alla presenza di Giuseppe Conte, David Sassoli e il ministro dell'Università Gaetano Manfredi

Il legame con le comunità per dare slancio a una competizione che non può prescindere dai piccoli comuni, molto spesso culla di realtà all’avanguardia, una responsabilità sociale d’impresa che non sia mero strumento di marketing, la spinta all’economia circolare che vede l’Italia già eccellenza in molti ambiti, il rapporto tra tecnologia e società e la riconversione di alcuni settori produttivi del nostro Paesi. Sono queste le colonne portanti, i temi a cui lavoreranno i promotori del ‘Manifesto di Assisi’, documento che ha raccolto circa 1.800 firme e che ha l’obiettivo di “costruire un’economia e una società più a misura d’uomo in grado di affrontare con coraggio la crisi climatica, grazie ad una nuova alleanza tra istituzioni, mondo economico, politica, società e cultura”. Il 24 gennaio, ad Assisi, il primo appuntamento nel Salone Papale del Sacro Convento. Una giornata di lavori, alla quale è prevista anche la partecipazione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del presidente del Parlamento Ue David Sassoli. Un punto di inizio dal quale far partire per una svolta green che coinvolga tutto il Paese.

I PROMOTORI – Tra i promotori Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, il numero uno di Confindustria Vincenzo Boccia, il presidente di Coldiretti Ettore Prandini, ma anche Francesco Starace, ad del gruppo Enel, Mauro Gambetti, padre custode del Sacro Convento di Assisi, Enzo Fortunato, direttore della rivista ‘San Francesco’ e Catia Bastioli, ad di Novamont. Cosa aspettarsi dopo l’appuntamento di Assisi, già ribattezzato ‘l’altra Davos’? “Si elaborerà un programma di lavoro – spiega Ermete Realacci a ilfattoquotidiano.it – che coinvolga tutte le realtà che stanno aderendo. Non ricordo un’esperienza, neanche a livello europeo, che abbia richiamato intorno a questo tema, così tante realtà produttive, dell’associazionismo, professionalità e personalità della società civile. Realtà grandi e piccole che si riconoscono in una sfida comune: insieme ci sono la Caritas di Benevento e l’architetto Renzo Piano, ci sono l’Enel, le associazioni ambientaliste, i sindacati e molti rappresentanti dell’Anci”.

IL TESTO DEL MANIFESTO – “Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario – si ricorda nel manifesto – ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capaci di futuro”. Nel testo si cita anche l’enciclica ‘Laudato si’ di Papa Francesco, dedicata proprio al tema dell’ambiente. “Siamo convinti che, in presenza di politiche serie e lungimiranti, sia possibile azzerare il contributo netto di emissione dei gas serra entro il 2050” scrivono i promotori. Siamo lontani, però, da questo scenario. Come confermato anche dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, pubblicato nei giorni scorsi. “Questo avviene perché la politica è spesso indietro rispetto a parti di economia e società, di frequente escluse dai processi decisionali. La politica ambientale, invece, è quella di un intero Paese e non di uno o un paio di ministeri” ribatte il presidente della Fondazione Symbola. “Già oggi in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca – ricorda il Manifesto – siamo protagonisti nel campo dell’economia circolare sostenibile”.

LE SFIDE DA CUI PARTIRE – Che è, infatti, uno dei temi da cui ripartire nella sfida alla crisi climatica. Perché il Paese dove le ecomafie incassano 16,6 miliardi di euro all’anno è lo stesso “dove la percentuale di riciclo dei rifiuti prodotti è la più alta d’Europa”. È il primo al mondo nella produzione di make up (quasi il 55% del mercato mondiale), ma è anche il primo ad aver eliminato le microplastiche dai cosmetici. “Per quanto riguarda i palazzi del potere, invece – commenta Realacci – ricordo ancora il disastro del Green act annunciato dall’ex premier Matteo Renzi nel gennaio 2015 e quasi subito scivolato infondo alle priorità del Governo, naufragato definitivamente con il referendum sulle trivelle”. Nel frattempo, però, nonostante i limiti del sistema del riciclo oggi l’Italia è tra i Paesi europei che recuperano di più. “Eppure – spiega Realacci – ancora una volta rischiamo di rallentare il settore perché siamo indietro burocraticamente e, in questo senso, è emblematico ciò che è accaduto con l’end of waste”.

I PICCOLI COMUNI – Altra potenzialità del nostro Paese è il legame con le comunità. Sono i piccoli comuni “considerati residuo del passato, sono in Italia uno straordinario concentrato di bellezza, storia, produzione agricola e, potenzialmente, anche industriale”. Un’industria lontana anni luce da quella dell’Ilva. “Abbiamo molte aziende, diventate leader nei loro settori, nate in piccoli comuni sparsi nel nostro Paese, sulle quali bisogna puntare di più e che tanto possono contribuire nella sfida del clima e dell’azzeramento delle emissioni di CO2, sfida difficile, ma non impossibile”. Perché le imprese che funzionano meglio sono quelle che hanno un forte legame con la comunità e, quindi, una certa attenzione alla sostenibilità.

LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DI IMPRESA – È questo il seme della responsabilità sociale di impresa, che vada oltre i concetti di procedura o marketing “ma sia valorizzazione – aggiunge Realacci – di qualcosa che è già nella migliore tradizione italiana, un modello che è più forte di fenomeni come l’economia in nero e caporalato, pure presenti nel nostro Paese”. Un esempio? “Le montature degli occhiali di qualità che, dopo vari tentativi in altri Paesi, oggi tornano a fabbricarsi in Italia”. Un altro tema, strettamente legato a quello dei cambiamenti climatici, è la riconversione delle aziende. Tra i firmatari ci sono imprese, tra cui Erg e Falck, che erano nel settore dell’oil and gas e dell’acciaio. La prima è oggi una società multi-energy, colosso nel settore delle rinnovabili, la seconda produce energia elettrica sia da fonti rinnovabili, sia da impianti di cogenerazione. “In queste esperienze c’è la spinta all’innovazione, che è italiana – commenta il presidente della Fondazione Symbola – più di quanto molti pensino”.

IL RAPPORTO TRA INNOVAZIONE, TECNOLOGIA E SOCIETÀ – Non è un caso se, ad Assisi, l’incontro sarà aperto dal ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi, che già aveva firmato il manifesto in qualità di presidente della Conferenza dei rettori delle Università Italiane. La ricerca è molto importante, perché consentirebbe alle nostre imprese di vincere su mercati anche molto competitivi. Come accade con i costruttori italiani di giostre. “Sono le più richieste al mondo – racconta Realacci – non solo perché sono belle, ma anche perché consumano di meno. Eppure il background non è certo quello ambientalista”. Ma allora, senza neppure obblighi legislativi, chi l’ha detto ai costruttori di fabbricare giostre ‘green’? “Nessuno, l’hanno fatto, perché parte importante delle nostre imprese, in diversi settori, è già abituata a innovare per risparmiare energia. È un modo di fare impresa che, insieme alla propensione alla bellezza, caratterizza il nostro Paese. Ed è la ragioni per cui nessuna realtà, neppure la più piccola, va lasciata indietro”.