Politica

Manovra, sul diritto alla casa ci aspettavamo un segnale forte (che non è arrivato). Ecco perché

E’ in corso l’esame al Senato della legge di bilancio per il 2020. Una legge complessa che suscita sempre aspri dibattiti.

Sarebbe sbagliato approcciare alla legge di bilancio per il 2020 solo in termini ragionieristici, importanti, ma che vanno calibrati sugli effetti che questa produce sui cittadini e in particolare quelli con redditi bassi e svantaggiati.

Sulla casa dopo aver salutato come una vera novità il punto 8 dell’accordo di programma di governo che recita: “Occorre prevedere un piano di edilizia residenziale pubblica volto alla ristrutturazione del patrimonio esistente e al riutilizzo delle strutture pubbliche dismesse, in favore di famiglie a basso reddito e dei giovani, adeguare le risorse del Fondo nazionale di sostegno alle locazioni, rendere più trasparente la contrattazione in materia di locazioni”, ci aspettavamo un segnale forte.

Questo a mio avviso non c’è stato o perlomeno non c’è stato nel segno e nel solco di quanto indicato al punto 8 dell’accordo di programma del Governo Conte 2.

Ma andiamo al dettaglio.

Punto di riferimento è l’articolo 53 ovvero il Piano di Rinascita Urbana, quei si afferma che il piano intende concorrere alla riduzione del disagio abitativo con particolare riferimento alle periferie.

Il Programma sarebbe finalizzato a riqualificare e a incrementare il patrimonio destinato all’edilizia residenziale sociale.

Tale programma si baserà su proposte che saranno inviate dalle Regioni, dalle aree metropolitane dai comuni capoluogo di provincia, e dai comuni con più di 60.000 abitanti, prevedendo anche il coinvolgimento di privati e relativi finanziamenti di questi, e il terzo settore. Tale programma vede un finanziamento di 853,81 milioni di euro ma diluiti in tra il 2020 e il 2034 (12,8 milioni nel 2020).

Tutto bene? No

Perché si stanno mischiando le carte si parla nell’articolo 53 di edilizia residenziale sociale e di finanziamenti e partecipazioni di privati e coinvolgimento del terzo settore, non mi sembra che questo corrisponda ad un intervento che punta ad aumentare la disponibilità di case popolari a canone sociale (edilizia residenziale pubblica o sovvenzionata che dir si voglia).

In realtà il Piano di Rinascita Urbana come proposto dal governo riecheggia, e neanche velatamente, un richiamo al cosiddetto social housing.

Quindi ci apprestiamo di nuovo a mettere risorse pubbliche che ufficialmente dovrebbero affrontare il disagio abitativo, ma che in realtà sosterranno proposte pubblico-private, queste magari potranno portare sollievo alle famiglie con reddito medio che potranno pagare canoni intorno ai 500 euro, ma non incideranno per nulla sulle famiglie in disagio abitativo che di norma conta le 650.000 famiglie che sono collocate nelle graduatorie comunali con redditi bassi impossibilitate a sostenere neanche eventuali canoni agevolati tipici dell’offerta di social housing. Alle famiglie collocate nelle graduatorie, al contrario hanno bisogno di case popolari di edilizia residenziale pubblica a canone sociale.

Il governo si ostina, anche in questa legge di bilancio, a non mettere in atto quanto promesso con il punto 8 dell’accordo di programma continuando, con una fraseologia apparentemente corretta, a sostenere iniziative che non aggrediscono il disagio abitativo che è formato da famiglie deboli oltretutto fortemente indebolite dalla crisi economica e dall’affermarsi di offerte occupazionali segnate da precarietà lavorativa associata a redditi insufficienti ancora lontani dall’attuazione dell’art. 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Poi ci sarebbe il tema del riuso del patrimonio pubblico e privato… ma questo è un altro tema che affronterò in un prossimo post.