Politica

Sardine: se vogliono avere un futuro, dovranno rifarsi a un partito

di Andrea Taffi

Massimo rispetto, vicinanza e considerazione per chi manifesta in modo pacifico e organizzato, partendo da una mobilitazione generata sulle piattaforme social. Massimo rispetto per chi fa tutto questo contro i populisti, i sovranisti e gli strumentalizzatori di professione, sia che questi si chiamino Matteo Salvini, sia che abbiano altri nomi, più o meno noti e potenti, nazionali e internazionali. Profondo rispetto, insomma, per il fenomeno contestatore dell’attuale momento politico, quello che con un’efficace metafora si è autodefinito col nome di “sardine“.

Gli appartenenti a questo nuovo movimento di popolo, per lo più giovani, sembra che – oltre alla contestazione all’ex ministro degli interni e vicepremier – abbiano in comune il fatto di provenire dal più grande non-partito d’Italia, capace, come tale, di influenzare i risultati elettorali e, per questo, da sempre corteggiato da tutte le forze politiche: gli astenuti. Per la prima volta (è questa, secondo me, la vera forza e novità delle “sardine”) un movimento spontaneo e non preorganizzato politicamente esprime in primis la forza e la voce degli astenuti. Degli astenuti, si badi bene, non dell’astensione.

Sì, perché tutti questi signori e signore venuti dai social con l’orgoglio di essere sardine non in scatola ma in piazza, se vogliono contribuire a cambiare veramente qualcosa in Italia, limitando o addirittura impedendo la prossima vittoria della Lega di Salvini e delle destre tutte, dovranno poi votare, uscire dall’isola dell’astensione e infoltire i voti di quei partiti (Pd e Movimento 5 stelle principalmente) chiamati a combattere dalla trincea governativa gli assalti confusionari ma (per molti, troppi elettori) attraenti e attrattivi.

Se così non fosse (io credo) il rischio sarebbe quello di subire la sorte di tutti quei movimenti spontanei, di piazza, non politicizzati e molto arrabbiati che abbiamo conosciuto in Italia in questi ultimi anni a partire dall’era berlusconiana. Bei movimenti, condivisibili e condivisi, persino commoventi che, però, paradossalmente, si sono infranti contro quella che era la loro originaria forza apolitica, una forza che dopo che nasce e cresce deve trovare alloggio in un ambito prettamente politico e di partito. E questo perché, secondo l’articolo 47 della Costituzione, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale servono i partiti.

Protestare senza incanalare la forza della protesta in un alveo di un partito politico garantirà (forse) purezza e genuinità, ma non rappresentatività, impulso e forza di effettivo cambiamento. Io credo che non si debba avere disprezzo dei partiti, di quello che essi sono costituzionalmente chiamati a rappresentare. Non si deve pensare che i partiti siano, per definizione, portatori e incubatori di idee politiche distorte e non più condivisibili. Se la nostra Costituzione credeva nei partiti, anche noi (io penso) abbiamo il dovere di fare altrettanto.

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