Diritti

Kuwait, la disperata situazione dei ‘bidun’ sta per peggiorare. E l’obiettivo politico è chiaro

Della disperata situazione dei bidun, i circa 100.000 apolidi forzati del Kuwait (più o meno un decimo della popolazione del paese), abbiamo già scritto in diverse occasioni, ultimamente qui. Ora una proposta di legge rischia, se approvata, di perpetuare la discriminazione nei loro confronti obbligandoli a rinunciare alla richiesta di cittadinanza.

Già a luglio il suicidio di un ventenne aveva scatenato una rivolta: 11 delle persone arrestate durante le proteste sono ancora in carcere in attesa di processo per “ribellione“, “diffusione di notizie false” e “appartenenza a un’organizzazione illegale”, il Consiglio per i bidun del Kuwait diretto da Mohamed Waly Mutlaq, un ex bidun che ora risiede nel Regno Unito. A novembre ci sono stati altri due suicidi: il 4 Bard Mirsal al-Fadhli si è impiccato in un parco pubblico mentre il giorno dopo si è tolto la vita, impiccandosi in una piazzola di sosta dell’autostrada 70, Zayed Anithal al-Osmi.

La proposta di legge, presentata il giorno stesso dell’ultimo suicidio, riguarda coloro che si sono registrati nel Sistema centrale per porre rimedio alla situazione dei residenti illegali, un organismo istituito nel 2010. In questi anni, il Sistema centrale ha arbitrariamente assegnato a molti bidun una falsa cittadinanza straniera (di solito irachena o siriana), che ora compare sui loro documenti ufficiali. In altre parole, i bidun che cercavano di regolarizzare la loro situazione per diventare cittadini del Kuwait si sono ritrovati a essere cittadini stranieri.

Gli articoli della proposta di legge sono preceduti da una notevole retorica xenofoba. Si fa riferimento ai “problemi legali e sociali” causati dai “residenti illegali”, problemi che “sono finiti fuori controllo e sono diventati un onere per la sicurezza nazionale”. E ancora, “la presenza di un gruppo privo di nazionalità non è consentita, e la sua presenza nello stato del Kuwait dev’essere considerata illegale“. La proposta prevede l’offerta di una “residenza privilegiata” della durata di 15 anni a coloro che “mostreranno la loro nazionalità originaria”, ossia la falsa non-cittadinanza kuwaitiana.

Inoltre, è stabilito un limite massimo di un anno “per modificare il proprio status giuridico nel rispetto della Legge sulla residenza”, scaduto il quale si verrà considerati “stranieri illegali” e non sarà più possibile fare richiesta della (non) “nazionalità”. In questo modo, se la legge venisse approvata, i bidun avrebbero 365 giorni di tempo per “ammettere” di non essere cittadini del Kuwait.

Una vicenda kafkiana. Ma l’obiettivo politico è chiaro. In cambio della rinuncia definitiva alla cittadinanza, ecco l’elenco dei diritti garantiti ai “residenti privilegiati” (e che non sono oggi né sarebbero poi garantiti ai bidun): sanità e istruzione gratuite; tessere per comprare prodotti alimentati sussidiati dallo stato; rilascio di tutti i documenti aventi valore legale come certificati di matrimonio o di morte, patente di guida ecc; autorizzazione ad aprire esercizi commerciali privati. Ai cittadini kuwaitiani resterebbe però il “privilegio” esclusivo di lavorare nel ben remunerato settore del pubblico impiego.

Ulteriori informazioni sulla storia dei bidun si trovano nella sezione “Background” di questa scheda di Amnesty International.