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Egitto ed Etiopia si scontrano per l’acqua del Nilo. Non è la prima volta (e purtroppo non sarà l’ultima)

di Luigi Manfra *

Le prossime guerre potrebbero scoppiare a causa dell’acqua. Questa frase viene ripetuta sempre più frequentemente dagli esperti e studiosi del settore. Il rischio di conflitti per l’accesso alle risorse idriche nei prossimi anni potrebbero crescere esponenzialmente. Già oggi ci sono forti tensioni tra Turchia, Siria e Iraq per il fiume Eufrate e tra Israele, Palestina, Giordania per il fiume Giordano. In Africa, oltre a molti conflitti tribali in Libia e in altri paesi del Sahara, c’è la disputa tra Egitto, Sudan e Etiopia per le acque del Nilo.

Dal 2011 quest’ultimo paese ha avviato un progetto di produzione di energia idroelettrica realizzando una grande diga sul fiume Nilo per produrre 6,5 giga watt all’anno. L’Etiopia ne ha bisogno sia per evitare che lo sviluppo economico si arresti, sia per soddisfare, almeno parzialmente, i bisogni di base della popolazione in termini di energia elettrica. L’Etiopia, nonostante tassi di crescita dell’economia superiori a quelli della Cina, resta un paese povero con un Pil pro-capite di 1900 dollari e con il 65% degli abitanti privi di elettricità.

Il paese, recentemente tornato alla democrazia con il nuovo premier Abiy Ahmed a cui la scorsa settimana è stato assegnato il premio Nobel per la pace, ha innanzitutto firmato un trattato di pace con l’Eritrea, con cui era in guerra da oltre 30 anni, ma ha anche avviato numerose riforme che hanno favorito lo sviluppo economico e sociale, che procede più o meno speditamente. La diga in costruzione “Grand Ethiopian Renaissance Dam” (Gerd) insiste sul Nilo Azzurro, un affluente che fornisce il 59% della portata dell’intero bacino del Nilo, dal quale l’Egitto dipende come sola fonte di acqua dolce.

Si tratta della più grande diga idroelettrica dell’Africa, con un volume totale dell’invaso pari a 74mila milioni di m3. Sarà completata nel 2022, nonostante il contenzioso con l’Egitto sia ancora aperto su un tema strategico come la partizione delle forniture idriche. Come scrive la rivista Nature, “L’Egitto teme che l’Etiopia si stia muovendo troppo in fretta per completare la grande diga, e che il suo calendario creerà scarsità di acqua e cibo e ridurrà senza lavoro milioni di agricoltori egiziani. L’Etiopia ribatte che il progetto, completato al 60%, è essenziale per il suo fabbisogno di elettricità ed è una questione di sovranità nazionale con cui l’Egitto non può interferire”.

Il contrasto tra i due paesi riguarda principalmente un punto del progetto. L’Egitto ha proposto alla controparte di colmare l’invaso della diga entro un periodo di 7 anni, e ha chiesto che l’impianto rilasci circa 40 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno. L’Etiopia, invece, propone che il bacino idrico venga riempito in 5 anni, con 35 miliardi di metri cubi di acqua rilasciati nei paesi a valle ogni anno.

I rappresentanti di Egitto, Etiopia e Sudan, nei cui territori scorre il grande fiume, si sono incontrati a inizio ottobre a Khartoum, occasione in cui sono emerse tutte le difficoltà del negoziato. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, durante il suo recente discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, aveva sollevato la questione della diga Gerd evidenziando che la disputa non è ancora stata risolta. Ma aveva aggiunto che Il Cairo si impegnerà ancora per raggiungere un accordo che garantisca gli interessi di entrambi i Paesi.

L’Egitto, sulla base di un trattato stipulato nel 1959 con il Sudan, preleva ancora oggi 55,5 miliardi di metri cubi di acqua dal Nilo ogni anno mentre il Sudan ne utilizza 18,5 miliardi. L’accordo fu raggiunto poco prima che si iniziasse a costruire la grande diga, l’Aswan High Dam, il cui invaso ha preso il nome di lago Nasser. L’Etiopia non faceva parte di questo accordo e quindi non lo riconosce. Il portavoce del ministero degli Esteri etiope ha ribadito di nuovo, recentemente, che nessuna proposta non rispettosa della sovranità nazionale sarebbe stata accettata. Il timore dell’Egitto, invece, è che la scarsità di fonti idriche alternative di cui dispone, poco più del 10% dei 62 miliardi di metri cubi annuali, provochi problemi economici e sociali di difficile risoluzione.

Se al problema dell’acqua si aggiunge la ripresa dell’inflazione e le dure condizioni poste dal Fondo monetario internazionale per concedere nuovi prestiti al paese, che hanno indotto il governo a introdurre l’Iva e a ridurre i sussidi per molti beni di consumo, si ha un quadro realistico dello stato di salute dell’Egitto e, soprattutto, della parte più povera dei suoi abitanti.

La realizzazione della diga etiope avrà in ogni caso un effetto positivo sui paesi a valle, in termini di controllo del flusso idrico del fiume. Il cambiamento climatico ha reso più frequente il succedersi di periodi di siccità e di inondazioni con effetti negativi sia in Sudan che in Egitto. In un quadro di accordo e gestione comune, la chiusura o l’apertura delle paratie dell’invaso della grande diga potrebbe attenuare questi fenomeni climatici estremi, migliorando la gestione del territorio.

* Responsabile progetti economici-ambientali UNIMED già docente di politica economica presso l’Università Sapienza di Roma