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Usa, stavolta l’impeachment a Trump può avere successo. Che si tratti di un novello Nixon?

L’impeachment è uno psicodramma politico, che dall’America è destinato a riverberarsi in tutto il mondo. Vengono alla mente i casi storici più recenti, lo scandalo Watergate nel 1973 in cui fu implicato Richard Nixon (si dimise prima che il procedimento facesse il suo corso) e l’impeachment a luci rosse contro Bill Clinton, per la relazione sessuale con la stagista Monica Lewinsky, nel dicembre 1998.

Il dettato della Costituzione americana prevede la messa in stato d’accusa in casi di “alti crimini e delitti” da parte del presidente in carica, in termini deliberatamente vaghi che lasciano comunque esposto alla gogna mediatica l’inquilino della Casa Bianca. Nel marasma a cui assisteremo nelle prossime settimane, la polarizzazione politica e la lotta tra democratici e repubblicani toccherà livelli mai raggiunti prima. Nel prevedibile astioso rimpallo tra dispositivi legislativi, politica di fazione, coinvolgimento dell’opinione pubblica, Donald Trump avrà ovviamente occasione per recitare la parte della vittima a cui l’establishment ha teso una trappola; e forse riuscirà a compattare la sua base elettorale. Ma l’elettore medio, gli indipendenti e moderati invece potrebbero pensare che un presidente non può considerarsi al di sopra della legge e della Costituzione.

Trump ha una lunga storia di loschi legami con l’Europa dell’Est: vi sono segni incontrovertibili che, ai tempi in cui era un palazzinaro e gestore di casinò, sia stato salvato a più riprese dalla mafia russa e kazaka. Eppure fino ad oggi tutte le persone di buonsenso, con un minimo sindacale di acume politico, hanno pensato che i democratici avrebbero commesso un grande errore avviando la procedura di impeachment. Anche se l’uomo è palesemente inadatto alla carica, deviato com’è da una personalità tossica, corrosiva, egocentrica (senza parlare della palese inclinazione a razzismo, suprematismo e sessismo estremi) la messa in stato di accusa gli avrebbe giovato e basta.

Diciamolo: il rapporto Mueller è stato una gran delusione, per tutti noi anti-trumpiani doc. In quel poderoso dossier non c’era la “pistola fumante” che ci si aspettava, Mueller ha rafforzato solo quel senso di disgusto per un leader nei cui confronti è impossibile avere fiducia politica e costituzionale, per via delle sue tare caratteriali e per l’assoluta assenza di una qualsiasi morale o visione, oltre le quattro idee in croce e le decisioni prese d’impulso. Il populista perfetto: rozzo, ignorante, arrogante, incompetente.

Se i democratici avessero iniziato l’impeachment contro Trump dopo la pubblicazione del rapporto Mueller, avrebbero compiuto un errore clamoroso. E per questo Nancy Pelosi, l’80enne combattiva speaker della Camera, non aveva mai acconsentito. L’Apprentice in Chief si sarebbe solo rafforzato.

Cosa è cambiato, allora, per giustificare l’avvio della procedura di messa in stato d’accusa adesso? Nei suoi rapporti personali con l’Ucraina il very stable genius, come si autodefinisce, ha commesso (e ammesso: il che conferma che non si rende conto della gravità delle sue azioni) un nuovo e stavolta chiaramente delineato “alto crimine costituzionale”: in poche parole, ha posto i propri biechi interessi elettorali (la rielezione nella campagna presidenziale del 2020) al di sopra dell’interesse nazionale degli Stati Uniti, facendo pressione su un paese straniero per gettare fango su quello che a oggi appare il rivale politico più competitivo nei sondaggi, il democratico Joe Biden, vicepresidente di Barack Obama dal 2008 al 2016.

Evidentemente la Pelosi e la maggioranza democratica alla Camera credono alle prove del whistleblower dei servizi di intelligence secondo cui Trump ha utilizzato a questo scopo, e in modo deviato, il denaro dei contribuenti. Dimostrando per l’ennesima volta – ma in termini perentori – di essere disposto a qualsiasi cosa, pur di vincere e schiacciare gli avversari.

Lo sapevamo dai tempi delle primarie nel 2016 che Trump “is not fit” per la poltrona di maggior potere al mondo. Ora però sappiamo che ha ripetutamente violato quel giuramento, quando il 20 gennaio 2017 ha recitato la formula di rito di “preservare, proteggere e difendere la Costituzione”. Non solo ha minato la sicurezza nazionale americana, interferendo con un paese al centro di una crisi geopolitica globale (l’annessione della Crimea da parte di Vladimir Putin e la guerra civile in Donbass), ma chiaramente “The Donald” utilizza la Casa Bianca a soli fini personali.

Certo non sarà facile convincere i codardi senatori repubblicani a rimuoverlo dall’incarico, ma la Camera può fare di questo impeachment un grande processo mediatico e giudiziario, ponendo sul banco degli accusati un uomo a cui manca del tutto l’etica e la morale e che quindi in Occidente non può essere un leader. Speriamo sia un presidente da un solo mandato o, nel migliore degli scenari possibili, un novello Nixon, magari costretto alle dimissioni e a passare la mano al suo vice Michael Pence, perché schiacciato dall’evidenza delle prove in uno scandalo di corruzione.