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Pd, Lotti spiega perché non ha seguito Renzi: “Resto nella casa del riformismo. Qui per riaffermare garantismo contro giustizialismo”

L'ex ministro dello Sport e imputato nel caso Consip in un lungo intervento sul Foglio spiega la sua decisione di restare con i dem e annuncia battaglia sul tema della giustizia per difendere "l’impronta garantista nei confronti delle sacche di giustizialismo giacobino". Su Renzi: "Se voleva contare di più al tavolo della maggioranza, orizzonte politico limitato"

“Il luogo politico di un’autentica componente riformista è solo il Partito democratico, è qui che la nostra sfida può e deve trovare nuova linfa”. In un lungo intervento sul Foglio l’ex ministro dello Sport, Luca Lotti, spiega la sua decisione di rimanere nel Pd e di non seguire Matteo Renzi nella nuovo movimento ‘Italia viva‘. Nessuna lite personale, nessun ruolo da “spia” o da “cavallo di Troia”, assicura Lotti: le motivazioni sono da ricercare, sostiene, nelle battaglie che vuole portare avanti con i dem. Tra queste, l’imputato nel caso Consip mette anche la giustizia, il garantismo contro il giustizialismo. Un tema su cui M5s e Pd tentano di avvicinarsi e su cui ora Lotti annuncia di non voler restare da parte.

“In Italia, in questo momento storico, per me la casa dei riformisti non può essere che il Pd”, scrive Lotti sul Foglio. “È dentro il Pd che dobbiamo fare la battaglia per lo sviluppo, per le infrastrutture, per un ambientalismo non ideologico e per riaffermare l’impronta garantista nei confronti delle sacche di giustizialismo giacobino che ancora purtroppo restano”, sottolinea poi l’ex ministro. Che difende anche quanto fatto dai precendenti governi dem, Renzi e Gentiloni: “Il nostro ‘turbo-riformismo‘ ha prodotto tante leggi che hanno reso l’Italia più moderna, efficiente e giusta grazie alle unioni civili, al ‘Dopo di noi’, alla riforma del processo civile, al Jobs Act, all’Industria 4.0; e potrei citarne molte altre. Le ho condivise tutte, e non potrei rinnegarne nemmeno una”, scrive Lotti.

Allora perché lasciare Renzi? “Nonostante la mia storia personale e nonostante tanti giornalisti e colleghi provino a dare letture surreali (arrivando a scomodare leggende letterarie come il cavallo di Troia o fantasticando su improbabili spie o infiltrati), mi chiedo che senso abbia avuto far nascere il nuovo governo e subito dopo uscire dal partito”, risponde indirettamente nel suo intervento. “Rivendico il diritto – aggiunge poi Lotti – di non dover rinnegare il mio futuro politico, e non sacrifico le mie convinzioni a un sodalizio sia pure profondo e duraturo. So bene lo smarrimento che in tanti stanno affrontando in queste ore, ma chiedo a tutti quelli che credono nel Pd di avere fiducia nel nostro progetto”.

Per Lotti le sfide che si appresta a dover affrontare il Pd sono fondamentali: “Il gravoso impegno di stare al governo del Paese in un momento così cruciale non può esimerci dal guardare anche dietro l’angolo, a cosa è meglio per il futuro della nostra democrazia: abbiamo accettato il taglio dei parlamentari, altrimenti non sarebbe nato il governo, ma ora abbiamo il dovere di aprire una riflessione non superficiale anche sulla nuova legge elettorale”, scrive per esempio l’ex ministro, aggiungendo che “il nostro assetto istituzionale ideale era e resta il maggioritario“. Per Lotti “si può arrivare” a questo obiettivo.

“Sono convinto che le correnti siano una ricchezza per rendere una vita di partito profondamente democratica”, scrive in conclusione Lotti, discostandosi dal pensiero di Renzi. “Credo sia un errore averne paura”, sottolinea con un riferimento implicito proprio al suo ex premier e segretario. Lotti prova anche spiegare perché Renzi se n’è andato: “Qualcuno ritiene possa essere stato l’impulso, comprensibile e legittimo, a contare di più al tavolo della maggioranza: non so se questo sia vero, ma temo che in tal caso possa essere un orizzonte politico limitato“.