Politica

Taglio parlamentari: ridurli sì, ma con criterio

di Marco Cucchini

Con la crisi di governo la sorte della riforma costituzionale che taglia il numero dei parlamentari è più incerta. Resta però il fatto che non favorisce il dialogo tra istituzioni e rappresentati. Perché la dimensione dei collegi non è adeguata.

Confronto tra parlamentari di quattro paesi

Ultimamente si è tornati a parlare di una riforma costituzionale rimasta per un anno sottotraccia: la riduzione del numero dei parlamentari, che sembrava giunta alla stretta finale. Pur con un nuovo governo, resta comunque lecito chiedersi se la riforma sia necessaria nelle finalità e nei contenuti.

Il punto di partenza del disegno di legge è l’affermazione che l’Italia ha troppi – e troppo pagati – parlamentari. Quindi, una riforma che ne riduce il numero risponderebbe a criteri di efficienza procedurale e di risparmio.

Sulle due questioni è interessante il confronto con la realtà delle camere basse di altri tre grandi paesi – Francia, Germania, Regno Unito -, riassunto nella tabella:

*numero variabile, mai inferiore a 598

Il numero di membri della Camera dei deputati è in linea con quello delle altre assemblee considerate e il rapporto tra membri dell’assemblea (Mp) ed elettori è sensibilmente inferiore a quello del Regno Unito e praticamente identico a quello della Francia. Non esiste un’anomalia italiana nella composizione della camera elettiva più ampia, considerando anche che nel computo sono considerati i 4.200.000 afferenti alla circoscrizione Estero.

La riduzione dei parlamentari da 630 a 400 (per la Camera dei deputati) inciderebbe profondamente nella rappresentanza parlamentare e nel rapporto tra eletti ed elettori. Da un eletto ogni 81mila abitanti scenderemmo a uno ogni 127mila, con buona pace di ogni ipotesi di ricostruzione del “filo spezzato” della rappresentanza, che passa anche attraverso un più diretto rapporto tra eletti ed elettori.

Diversa è la questione del calcolo delle indennità mensili. Le quattro assemblee seguono sistemi simili: una indennità di base, integrata da una diaria per la presenza, rimborsi spese di viaggio/alloggio e contributi per il rapporto con gli elettori e – in tutti i casi – ulteriori indennità o benefit nel caso di particolari funzioni svolte all’interno del lavoro parlamentare.

Il parlamentare italiano risulta sensibilmente più retribuito in particolare per una ragione: l’assistente legislativo è direttamente a carico dell’eletto, mentre in Francia, Germania e Regno Unito è a carico dell’assemblea. Comunque, anche sottraendo il massimale riconoscibile al collaboratore (il 50% di 3.690 euro), l’indennità complessiva del deputato italiano risulterebbe superiore rispetto a quelle dei colleghi degli altri tre paesi.

Non solo l’Italia, ma anche la Francia, la Germania e il Regno Unito sono sistemi bicamerali. Il caso più simile a quello italiano è il francese, con un Senato a elezione indiretta di 348 membri (30 in più di quello italiano) retribuiti grosso modo come i membri dell’Assemblea nazionale. I 776 membri della House of Lords non ricevono un’indennità di carica ma solo un limitato rimborso spese e una diaria, mentre i 69 membri del Bundesrat – il Consiglio federale tedesco – ricevono un’indennità di presenza e un rimborso spese di viaggio, essendo per il resto a carico dei rispettivi governi regionali.

Perché gli Usa non c’entrano

I sostenitori di un drastico taglio dei parlamentari spesso portano a paragone il caso degli Stati Uniti: “perché dobbiamo avere 945 parlamentari mentre gli Usa – che sono tanto più grandi – ne hanno solo 535?”. L’affermazione trascura il fatto che gli Stati Uniti sono un sistema federale e ai parlamentari del Congresso di Washington vanno aggiunti quelli dei singoli stati, che sono molti di più di quanti non siano i consiglieri regionali italiani.

Per capirci, l’Abruzzo – con la sua popolazione di 1.300.000 abitanti – è per abitanti simile al Maine (1.328.000) o al New Hampshire (1.316.000). Il Consiglio regionale dell’Abruzzo però ha 30 membri, mentre il parlamento bicamerale del Maine ne ha 186 e quello del New Hampshire addirittura 424. I paragoni potrebbero continuare: la Lombardia (10 milioni di abitanti circa) ha 78 consiglieri regionali, mentre la Georgia (un po’ più piccola con 9.700.000 abitanti) ha un parlamento bicamerale di 236 membri. Il paragone tra Italia e Stati Uniti su questo punto è totalmente fuorviante.

Gli effetti della riforma

Il tema quindi non dovrebbe essere tanto la dimensione del Parlamento quanto la funzione delle due Camere. Sulla modifica del nostro bicameralismo si è scritto molto e le due riforme costituzionali approvate dal Parlamento sono state entrambe bocciate dal corpo elettorale (nel 2006 e nel 2016), forse perché troppo divisive, drastiche o confuse.

La riforma del governo gialloverde non toccava questi temi, che pure potrebbero essere oggetto di un “riformismo mite” che, senza smontare l’architettura complessiva del sistema, inserisca elementi di razionalità ed efficienza al processo legislativo: si tratterebbe delle “riforme che non luccicano”, per citare Giovanni Sartori. Negli anni sono state avanzate proposte che – senza essere la Grande Riforma che cambia tutto e non si fa mai – potrebbero rendere più semplice e razionale il procedimento legislativo e il rapporto fiduciario.

Per ragioni più di marketing politico che di razionalità sistemica si è invece scelta la via dei tagli lineari alla rappresentanza senza porsi domande sugli effetti complessivi sul sistema, anche perché resterebbe comunque invariata la legge elettorale, dato che il “Rosatellum ter” – approvato nel maggio 2019 – ha “cristallizzato” il rapporto maggioritario/proporzionale, creando nei fatti collegi uninominali enormi (circa 600mila elettori di media per il Senato), che certo non possono svolgere la funzione di dialogo e raccordo tra istituzioni e comunità politica propria del sistema uninominale di collegio.

Probabilmente è tardi per porvi rimedio, ma in presenza del nuovo governo – con una prospettiva di lavoro almeno biennale – dovrebbe essere possibile far ripartire un progetto riformatore che recepisca alcune delle proposte meno “invasive” relative al funzionamento del processo legislativo e riduca il numero dei parlamentari in modo meno drastico, magari riprendendo i collegi già disegnati del Mattarellum (475 alla Camera e 238 al Senato). Il sistema elettorale può essere maggioritario, proporzionale o misto: ma dovrebbe tenere sempre al centro il collegio uninominale, perché è necessario creare meccanismi volti a responsabilizzare gli eletti innanzitutto verso i propri elettori.