Politica

Crisi di governo, quando i capicurva si credono statisti

Ha ragione Antonio Noto oggi su Il Fatto Quotidiano nel dire che gli italiani amano l’uomo forte, ma lo abbandonano presto. La situazione politica attuale è una kodak nitidissima di un Paese incline a forme di adulazione posticce care all’italiano medio, storicamente uso a celare gli ortaggi della propria particolare aia dietro l’ombra dell’uomo forte o presunto tale.

Gli ultimi due che si sono creduti capipolo, Matteo Renzi e Matteo Salvini, hanno permesso ad alcune parti del paese di fare outing nella micragnosa salvaguardia corporativa dei loro interessi o delle loro paure profonde. Ma, immemori di quell’odio che essi stessi hanno contribuito a seminare, hanno peccato di hybris credendo di rappresentare l’Italia intera.

Capicurva, convinti di essere capipolo, hanno parlato a un pubblico preselezionato tra i propri ammiratori, eletto a platea unica di riferimento, sprezzanti del fatto che ne esistano altre. Hanno pagato il non aver compreso che la loro presa non era sull’intera azione, quanto su alcune brigate particolari. Salvini chiedeva pieni poteri, certo che l’Italia intera lo avrebbe seguito, e su questo è franato. Proprio come li chiedeva Renzi con il suo Sì al referendum accoppa-Costituzione, incontrando il niet di quell’Italia che sognava lo amasse.

Questi leader autofabbricati sono inadatti alla legge del reale e, al momento del redde rationem con il verdetto popolare, non scelgono la presa d’atto, uscendo di scena come accadde in mezzo mondo. No, essi rimediano con vie illusorie, scotomizzando il giudizio del paese. C’è la via renziana, che consiste nell’incistarsi dentro al partito padre che lo ha partorito, perché ormai consapevole di avere le gambe di burro ed essere bocciato per sempre al voto, per poi influenzarlo da tergo creando piccoli gruppi di adepti ai quali proporsi come guida in attesa del parricidio.

La via salviniana invece, a fronte di un’Italia che non lo ha seguito, ignora l’accaduto ponendo la bontà del suo agire in un atto di fede (la Madonna), tramutando il volere popolare in un particolare di second’ordine rispetto a disegni trascendenti.

Questi leader sono ben lontani dagli statisti del secolo passato, ideologicamente formati, abituati al pudore in pubblico, i quali avevano di certo qualche pecca nel privato, ma assolvevano integralmente alla loro funzione di esecutori del retroterra ideologico che ne sosteneva le spalle: Berlinguer, De Gasperi, Nenni, Togliatti vedevano il patto Atlantico, oppure l’Urss, come un altare laico verso il quale genuflettersi.

I neo leader, privi di un’ideologia a tergo (e lasciamo perdere le tragiche pezze teoriche posticce con le quali il renzicalcatismo ha cercato di nobilitare le gesta di Telemaco…) ma dotati del loro solo desiderio di comando, si pongono come figure gommose che si modellano in funzione del sentire della popolazione, con la barra dritta verso l’opinione media. Si sintonizzano con i bisogni personali dell’uno per uno, ponendosi come risolutori del problema del singolo e domandando in cambio un sostegno al proprio interesse.

I ricchi, i radical chic, gli xenofobi e razzisti nascosti per Renzi. Gli insicuri, gli xenofobi dichiarati, i timorosi del diverso per Salvini. Essi sono portatori della legge eguale per tutti, ma quella del “mio orto in cambio del tuo”. Non è un caso che molti di questi leader utilizzino nel loro vocabolario elettorale adagi quali “se voi mi darete, io farò per voi”. Quando il voi è riferito a una categoria, una corporazione, più suscettibile di essere solleticata nella pancia.

In questo governo saranno immessi dal passato uomini, oggi costretti alla retrovia, che hanno fatto dell’odio verso gli altri partiti il plinto del loro agire, teoricamente, politicamente, con le loro parole. Il loro desiderio di potere non tarderà a manifestarsi.