Diritti

‘Tutte a novanta’ non è una goliardata. È sessismo

Da anni e senza interruzioni la pagina Facebook La pubblicità sessista offende tutti, fondata nel 2011 da Annamaria Arlotta, viaggia ad un ritmo costante di almeno una segnalazione a settimana per pubblicità, in video audio e in cartaceo, che palesemente risultano lesive della dignità del corpo e della mente delle donne, oltre che dell’intelligenza e del buon gusto in generale, in una gamma che va dal fastidioso all’oltraggioso. Fare un giro nella pagina significa rendersi conto del livello miserevole di molta della “creatività” comunicativa nello storytelling dominante.
Il doppio senso sessuale, la visione degradante del corpo femminile, il trivio del linguaggio da bar, caserma o palestra divenuto discorso pubblico sono un’abitudine alla quale si rischia di assuefarsi. Ulteriore conferma, pochi giorni fa, l’ha offerta la locandina vintage di un ristorante veneto, rilasciata via social. Chi ha organizzato l’evento, un ‘innocente’ invito a cenare con sottofondo di musica anni ’90, evocato con il leggiadro disegno di signorina carponi, non è nuovo a questo tipo di richiamo visivo.

Lo scorso anno una grigliata veniva pubblicizzata con analoga immaginetta evocativa di altri pezzi di carne: una pin up che solleva la gonna a dare aria al grill, mostrando maliziosamente le giarrettiere. “Solo una goliardata, non volevamo offendere, era una cosa leggera“. Questo è il mantra che puntualmente viene salmodiato quando si fa notare che no, si tratta di sessismo. Il copione è sempre lo stesso: “Ma come, non si può scherzare? Certo che le donne (le femministe poi non ne parliamo) sono totalmente prive di senso dell’umorismo, fatevela una risata, e così via. Si ignora, volutamente o meno, di capire quanto peso abbiano le immagini sull’immaginario, sulla fantasia e sulla costruzione sociale e collettiva della dignità di un soggetto: se una donna viene descritta come un pezzo di manzo sarà un bel bocconcino, non un essere umano. Ma si sa, è una donna che lo scrive, quindi per traslato incapace di leggerezza e umorismo.

Per fortuna la locandina non è passata inosservata, le proteste hanno generato articoli, l’evento è stato annullato, quasi tutte le tracce on line cancellate. Niente ci fu. In un commento una utente sottolinea, citando un pezzo di cronaca sull’accaduto: “Mi ha colpita che l’articolo sia tutto declinato al femminile, come se l’inadeguatezza e la volgarità e il sessismo insiti in quel messaggio pubblicitario catturassero solo l’attenzione delle donne: “Voci femminili e femministe”, in molte ancora oggi si indignano per una locandina con uno slogan esplicito e ritenuto offensivo. E poi commenti di esponenti politici donne. Unico uomo citato è quello in chiusura dell’articolo, quasi come un’eccezione. Come se si desse per scontato che all’uomo piace a prescindere vedere certe immagini e sono invece le donne che se la prendono”.

Questo è forse il punto centrale della questione: che, a differenza di altre forme di odio, come per esempio quello razziale o omofobo, il disprezzo verso le donne non è neppure una colpa lieve, a meno che non lo si faccia notare in modo molto evidente, e nemmeno questo basta a fugare dubbi di esagerate reazioni isteriche e misandriche. Così come le faccende di poco conto l’offesa alle donne è secondaria, fa parte del repertorio “cose da uomini”: i discorsi sulle prodezze sessuali e le classificazioni anche delle legittime fidanzate o mogli a seconda delle misure sono date per scontate e anzi necessarie alla maschilità autentica. Per questo un uomo che si indigni per come viene rappresentata una donna nella versione da macelleria è guardato con sospetto.

Un ragazzo originario del Ghana, volontario della Croce Rossa in Liguria, ha raccontato come d’abitudine ci sia gente che storce il naso per il colore della sua pelle: ’Sporchi la divisa che indossi’, gli ha detto qualcuno. Eroico, lui ha dichiarato: “sono cose normali perché sono nero”. Viene da pensare che, in fondo, sia legittimo lo stupore per il clamore generato da una “innocente” immaginetta vintage: in fondo non è sempre un po’ colpa della donna? Troppo bella, troppo poco vestita, troppo disponibile, troppo libera, troppo viva….”sono cose normali perché sono donne”.