Cultura

Pino Aprile, il potere dei vinti e la tempesta perfetta

Quando era una bozza sono stato tra i primi a leggere Il potere dei vinti, primo romanzo dello scrittore e saggista pugliese Pino Aprile. Anzi, mentre ancora lo scriveva ho viaggiato con lui a Santa Maria di Leuca dove la storia si ambienta: potrei quasi riconoscere alcuni dei personaggi ai quali si è ispirato, che poi sono diventati “altro” grazie alla sua penna geniale. Aprile è riuscito a fare di un luogo un romanzo, ha colto l’essenza più profonda del Capo di Finibus Terrae, un luogo immoto dove nulla deve accadere, perché nulla possa cambiare.

Leuca ha qualcosa di profondo, ancestrale, bisognerebbe leggere Il potere dei vinti proprio lì, seduti al bar di fronte al Capo, lo sperone di roccia che sembra dividere Adriatico e Jonio dove si ritrovano tutti i personaggi che animano la narrazione, il bretone Aloisio Lepirro detto U’Tis, Annalia e Piero, il Mago, Panchrazio di sopra e di sotto, Ariko… Ciascuno di loro viene da una esperienza, da una vita diversa, ma tutti nascondono un segreto, anzi un profondo dolore; per questo si ritrovano a Leuca nell’attesa che niente finisca, ma neppure che nulla cominci. Sono burattini di un destino più grande, ineluttabile, che non possono controllare, prigionieri di un non luogo che rispecchia la Puglia arcaica, quasi magica, che nel tacco d’Italia è rimasta ancora integra, intatta.

L’intreccio narrativo è più di un giallo: Aprile disvela lentamente la verità di un omicidio consumato sotto l’antica Torre dell’Omo morto, un vaso di Pandora da cui emergono altre verità delle quali il protagonista Aloisio Lepirro è allo stesso tempo spettatore e protagonista. Ma lui, che ha perso tutto e non cerca più nulla, rimane solo in attesa della tempesta perfetta di cui gli hanno parlato, che a Leuca arriva circa ogni dieci anni, un mare impossibile, un incrocio di venti letali. Quando capisce che la burrasca sta per arrivare molla gli ormeggi della sua barchetta a vela nella consapevolezza che solo sfidare quelle onde gigantesche possa sublimare o lavare il suo dolore. In questa scelta estrema c’è, forse, il senso più profondo di questo romanzo, racchiuso nel titolo: solo per chi è vinto realmente può arrivare il riscatto, perché a lui va il potere di rinascita.

Pino Aprile, autore di saggi best seller sempre con Piemme come Terroni, Giù al Sud, Mai più terroni, è oggi certamente il meridionalista più seguito in Italia. Per il suo impegno a favore del riscatto storico del Mezzogiorno ha ottenuto molti riconoscimenti, quali il Premio Carlo Levi nel 2010, il Rhegium Julii nello stesso anno, il Premio Caccuri nel 2012 e il Premio “Uomo dell’anno” della Italian Language Intercultural Alliance a New York. Con questo libro mette a frutto la sua straordinaria conoscenza, ma anche una acuta sensibilità nel percepire l’identità meridionale e trasformarla in narrazione, raccontando i meandri più profondi e sconosciuti della nostra umanità.