Mondo

Stragi in Sri Lanka, perché qui l’Isis ha trovato terreno fertile

I prodromi dei terribili attentati jihadisti in Sri Lanka, rivendicati da Daesh, hanno una matrice storica che risale al 2015, quando un cittadino cingalese identificato come Mohamed Muhsin Sharfaz Nilam (alias Abu Shurayh al-Silani), venne ucciso mentre combatteva a Raqqa, in Siria, durante un attacco. Il primo ministro dello Sri Lanka allora aveva ordinato indagini su possibili influenze dello Stato Islamico nel Paese per sondare i livelli di radicalizzazione. Sei mesi dopo la morte di Nilam, il numero di novembre 2015 della rivista online dello stato islamico “Dabiq” rese omaggio al suo combattente ucciso: “Che Allah accetti Abu Shurayh e abbia pietà di lui e di tutti coloro che hanno dato la vita, la ricchezza e il tempo per la causa di Allah le cui azioni continuano a ispirare e risvegliare questa Ummah”.

Uno sguardo superficiale sulla vita di Nilam ci fornisce alcuni indizi sul suo background di formazione islamica e su possibili orientamenti radicali. Residente a Warallagama, Mohamed Muhsin Nilam aveva ricevuto l’istruzione presso l’Università Islamica del Pakistan, prima di tornare nello Sri Lanka. In seguito era diventato un insegnante urdu nella Colombo University. Le informazioni fornite da Dabiq su Nilam fanno riferimento al fatto che stava guidando un gruppo di 16 cittadini dello Sri Lanka, compresi i suoi familiari, per trasferirsi nel cosiddetto califfato dello Stato islamico in Iraq e in Siria. Secondo Dabiq Nilam era impegnato anche in attività di reclutamento, oltre a prendere parte a delle battaglie in Siria.

La propaganda passa poi per i social network. Su Facebook la pagina del gruppo “Seylan Muslims in Shaam” (Sri Lankan Muslims in the Levant) riportava alcuni messaggi abbastanza chiari come questo: “O gente dello Sri Lanka, noi musulmani dello Shaam con origini nello Sri Lanka vi invitiamo a lasciare tutti i sistemi corrotti, che sottomettono l’umanità alla ricerca della libertà…Ricordate che vi raggiungeremo anche se ci vorrà un’altra generazione e combatteremo contro la leadership corrotta che impedisce di cercare la verità e stabilire l’Islam nello Sri Lanka”.

Nonostante il governo e l’ACJU, All Ceylon Jamiyyathul Ulama, si oppongano alle attività di sensibilizzazione dello Stato Islamico, la radicalizzazione di alcuni giovani musulmani nello Sri Lanka è in potenziale ascesa. Gruppi settari salafisti, come lo Sri Lanka Thawheed Jamaat (SLTJ), promuovono e predicano un Islam estremista che in gran parte disprezza le pratiche e l’esistenza di altre sette e organizzazioni islamiche come il Tamil Nadu Thowheed Jamath (Tntj), nata nel 2004 da una costola dell’organizzazione non governativa musulmana Tamil Nadu Muslim Munnetra Kazagham (Tmmk) che si propone di insegnare il vero Islam sia ai musulmani, sia ai non musulmani, impegnandosi nel sociale. Per non parlare del National Thowheeth Jamaath (Ntj) che lo scorso anno aveva danneggiato statue buddiste nell’isola e che secondo i servi segreti stranieri preparava un’ondata di attentati contro le chiese e la sede diplomatica dell’India e che oggi è il principale indiziato degli attacchi di Pasqua.

Questo humus spesso trascurato dagli apparati governativi ha messo in moto il meccanismo culminato ad oggi con gli attacchi che hanno causato almeno 359 morti. Morti rivendicati da Daesh attraverso Amaq, l’agenzia di propaganda del gruppo terroristico. Il premier dello Sri Lanka Ranil Wickremesinghe ha affermato che tutti gli arrestati finora per gli attacchi di Pasqua sono cittadini cingalesi e che alcuni degli attentatori hanno viaggiato all’estero per poi rientrare in patria. Cingalesi “influenzati” dal brand del terrore che ormai è diventato Daesh, sconfitto sul campo in Siria e Iraq, ma non virtualmente.