Giustizia & Impunità

Niccolò Bettarini, lettera dell’aggressore: “Ho commesso molti errori”. Il gup: “Altri sono sfuggiti a indagini”

Lo scrive il giudice di Milano Guido Salvini nelle motivazioni della sentenza nelle quali spiega anche che il 20enne rischiò di morire e che la sua "provocazione, magari involontaria" è "poco rilevante"

Gli aggressori di Niccolò Bettarini, figlio di Stefano e Simona Ventura colpito con calci, pugni e coltellate lo scorso 1 luglio, “non si esauriscono solo nelle quattro persone” condannate a pene fino a 9 anni, ma ci sono altri “gravemente sospettati di aver avuto un ruolo attivo” e che sono riusciti a “sfuggire alle indagini”. Lo scrive il gup di Milano Guido Salvini nelle motivazioni della sentenza nelle quali spiega anche che il 20enne rischiò di morire e che la sua “provocazione, magari involontaria” è “poco rilevante”. Il 18 gennaio, infatti, il giudice ha condannato i quattro imputati per tentato omicidio, ma con pene diverse, dai 9 anni ai 5 anni di carcere, perché solo uno di loro aveva con sé un coltello e non c’è la prova che anche gli altri sapessero che fosse armato. In particolare, a Davide Caddeo, 29enne difeso dal legale Robert Ranieli e accusato di aver sferrato le nove coltellate, il giudice ha inflitto 9 anni. Pene diverse per gli altri tre imputati: 5 anni e 6 mesi ad Alessandro Ferzoco (difeso da Mirko Perlino), 6 anni e 6 mesi ad Albano Jakej (difeso da Daniele Barelli) e 5 ad Andi Arapi (difeso da Fabrizio Cardinali). A tutti e tre, però, è stata concessa la “diminuente” del “reato diverso da quello voluto”.

Proprio Caddeo, che ha ottenuto un mese fa i domiciliari con l’obbligo di curarsi dalla dipendenza dalla cocaina e lavorare, ha inviato una “lettera” al giovane nella quale ha “scritto di aver compreso durante la carcerazione i molti sbagli commessi“. Nella lettera Caddeo spiega “di essere determinato” a seguire “un programma che lo aiuti a uscire dalla tossicodipendenza che lo ha portato ad azioni come quella avvenuta”. Il pm Elio Ramondini aveva contestato ai quattro imputati di “aver agito per motivi abietti (in quanto discriminatori) e futili, quali essere ‘il figlio di Bettarinì”. Per il giudice, però, mentre è “pacifica” l’aggravante dei futili motivi, non può essere riconosciuta quella dei motivi discriminatori: “Nel corso dell’indagine vi sono stati solo isolati riferimenti al fatto che qualcuno avesse gridato che il giovane era il ‘figlio di Bettarini’ e forse proprio per tale ragione andasse appunto colpito”. In realtà, si legge nelle motivazioni, “sembra che nessuno o quasi nessuno della compagnia degli aggressori lo conoscesse”.

Il gup, invece, mette in evidenza la “futilità” e la “assoluta banalità” delle “ragioni alla base dell’azione commessa”, perché l’aggressione sarebbe “scaturita da una lite avvenuta parecchio tempo prima, precisamente il 4 marzo (2018, ndr), in un’altra discoteca, il Gate”. Per il giudice, infine, “è doveroso ricordare che l’immediato esito positivo delle indagini è stato reso possibile anche dal senso civico dimostrato dal taxista” sulla cui “vettura erano saliti dopo il fatto due degli aggressori”. Resosi subito conto che i due giovani potevano essere “responsabili dell’episodio di cui aveva appreso poco prima mentre transitava dinanzi alla discoteca, ha subito attivato il sistema di ripresa audio e video interno”. Il giudice ha deciso con la sentenza di trasmettere le deposizioni “di rilievo” alla Procura “affinché valuti le ulteriori iniziative da adottare”.