Piccolo budget e grandi idee: dopo la Cenerentola in versione alta moda e il Gianni Schicchi cantato dai politici, il regista Gianmaria Aliverta punta sull'opera di Verdi, tradotta ai tempi delle cene eleganti: in scena il 15 e il 17 marzo allo SpazioTeatro89, in periferia a Milano. A ilfatto.it dice: "Se una cosa è bella, è bella per tutti. Perché per l’opera dovrebbe essere diverso? Facciamo tornare l’opera un genere popolare, riportiamola tra la gente"
Un transessuale deriso ed emarginato che procaccia le donne per il piacere del Duca. L’uomo che sussurra all’orecchio dei potenti, il Lele Mora – attuale ed eterno – tra cortigiani antichi e moderni. il Rigoletto secondo Gianmaria Aliverta, regista e anima di VoceAllOpera, compagnia under 35 con piccolo budget e grandi idee. Dopo la Cenerentola ambientata nel mondo della moda e il Gianni Schicchi cantato dai politici italiani, Aliverta il 15 e il 17 marzo porterà Giuseppe
Dietro di lui, un’intera parete di cd e videocassette. Sul tavolo, un paio di libri su Verdi e una copia del libretto del Rigoletto. “Ho scavato nell’opera e mi sono chiesto: chi viene messo alla gogna oggi per il proprio aspetto, ridicolizzato o sfruttato solo per scopi sessuali? Un travestito“. Transessuale o travestito sono due cose diverse, ma il punto per Aliverta non è l’identità sessuale, ma quella psicologica: capire in che modo l’emarginazione lo incattivisca. “Come se dicesse: io mi travesto perché voglio, voi perché avete paura di essere scoperti. Ma io posso ricattarvi quando voglio. Non vorrebbe fare il lavoro che fa, ma è l’unica cosa che può fare per sopravvivere”. Rigoletto (che sarà interpretato da Alessio Verna) è un uomo odiato, che odia a sua volta. Dipende dai potenti, come loro dipendono da lui, in un gioco continuo di ricatti e riverenze. “Potremmo dire che è il Lele Mora di Berlusconi, colui che prepara le situazioni per il Duca”. Una storia italiana di tirapiedi e cortigiani, di grandi uomini con i loro piccoli vizi privati, di papi e paparazzi. “Pensiamo a Palazzo Grazioli: una nazione messa a repentaglio per un po’ di sesso. Questa è la società, questi sono i miei Marullo e Ceprano“.
Aliverta – voce calda, occhi brillanti, un fiume in piena d’entusiasmo – odia il linguaggio stereotipato dell’opera. La sua personale battaglia è che testo e musica procedano di pari passo: “Non è solo una questione di belle note, se si riduce a un virtuosismo vocale si violenta Verdi”. La stampa lo ha variamente definito come l’enfant prodige (sfiora i 35 anni) o il “regista-cameriere” ma, come ricorda lui stesso, ha fatto tantissimi altri lavori per mantenersi all’inizio, ed è stato cantante prima che regista. La compagnia sperimentale e poi, il grande salto, con l’apertura di stagione della Fenice di Venezia nel 2017. Ma non ha mai abbandonato VoceAllOpera, compagnia giovane nello spirito e all’anagrafe, che offre una prima possibilità di debutto agli esordienti: “La selezione è assolutamente meritocratica: se canti bene sei dentro, a prescindere dal curriculum”. E anche se dirigi bene: Nicolò Jacopo Suppa, bacchetta agile e una gran
VoceAllOpera è nata a Milano nel 2013: è una compagnia “attenta al riciclo e alle periferie”. Per realizzare gli allestimenti coinvolge spesso pazienti dei centri di salute mentale o studenti delle scuole professionali. Così cialde di caffè si trasformano in lampadari e sacchetti della spazzatura in abiti. Ma guai a parlare di “opera moderna”: “Sarebbe ora che la finissimo di definire una regia ‘moderna’ solo in base ai costumi. E anche che si smettesse di storcere il naso a priori di fronte alle trasposizioni contemporanee“.
Ma se sul palco sono tutti under 35, la situazione in sala è più complessa: come si porta la generazione Spotify all’opera? “Le ho provate tutte – dice allargando le braccia – Ho fatto anche degli ingressi a cinque euro, meno di una birra in centro”. La questione non è il prezzo: “Il pubblico dell’opera è vecchio e i più vecchi in un certo senso sono proprio i ragazzi, che vogliono il feticcio dell’opera, un simulacro da museo“. Ci sono molti giovani, secondo Aliverta, che vedono la lirica come simbolo di prestigio sociale: “Il ragazzo che va all’opera difficilmente verrà in uno spazio di periferia. Perché cerca l’autoproclamazione di se stesso: sono in Scala – detta alla milanese – e mi faccio un selfie. Sono tutte Valeria Marini“.
E pensare che una volta a teatro si mangiava, si fumava, nei palchetti perfino si amoreggiava – per usare un eufemismo. Era un momento di evasione per tutti, ricchi e poveri. Solo dopo andare a teatro è diventato uno status symbol esclusivo. Ma chiunque – ragiona il regista – va a Parigi per vedere la Gioconda, anche se non ha mai studiato arte. “Se una cosa è bella, è bella per tutti. Perché per l’opera dovrebbe essere diverso? Facciamo tornare l’opera un genere popolare, riportiamola tra la gente”. Letteralmente: VoceAllOpera ha portato i suoi spettacoli nelle scuole e nelle case di riposo, perfino sottoterra: famoso (e virale) fu un flash-mob in metropolitana. “Non credere che la gente sia contenta di trovarsi lì: all’inizio è spaventata o infastidita. Si entusiasma quando va a casa e vede il video su youtube”.
Rigoletto sarà il giro di boa, dal punto di vista artistico e della produzione: la compagnia ha appena vinto un bando del Comune di Milano. Ma, sottolinea, niente di tutto questo sarebbe potuto succedere senza la generosità del Fondo Morosini, che finanzia diverse iniziative culturali. “Per noi la dottoressa Maria Candida Morosini è più di una mecenate, ci ha aperto le porte di casa sua, viene coinvolta in ogni decisione”. Il progetto ora è di raggiungere altre realtà musicali milanesi e di continuare la collaborazione con le strutture sociali del territorio. “La mia missione è quella di portare l’opera a tutti, soprattutto nei posti dove non è mai stata fatta”. Perché? “Perché se scopri una cosa bella, vuoi farla conoscere a tutti“.